venerdì 27 ottobre 2017

Poesia...Che ne sapete....

 Che ne sapete
del cuore degli altri
quando batte, batte...
come i vostri tamburi?!?
Che ne sapete
se è malato d'amore
Africa amata
di cuori duri!
Che ne sapete
d'un mondo diverso
solo rubandomi
gli stracci di dosso,
occhi di ghiaccio.
e senza sapore.
Che ne sapete
se torno un domani
a ritrovar le stesse illusioni.
Che n sapete
se torno un domani
a ritrovar le stesse emozioni.
Che ne sapete  ?!?

Kavà 18 Novembre 2000
Pier Carlo Acciaro
La Maddalena


sabato 21 ottobre 2017

Poesia...la strada della salvezza

E' buio sepolcrale
nella sentina della barca,
ansimante sulle onde,
con il carico avvinghiato
alla vita,
mirato dalla morte..
Tra odori melmosi
anime disperate,
di corpi ammucchiati
come gelidi marmi
lacrimano amaro
sulle orme della strada
della salvezza.
Esitante la speranza
vaga
in cerca d' un appiglio
nello specchio di sogni
bramati di un domani
in una terra accarezzata dalla pace,
dove si ode il muggire dei buoi
solcare i campi
di pane e umani valori,
dove il sole,
brillando sereno dall'alba
schiude un nuovo giorno alla vita
e non nasce e muore,
rannuvolato da polvere di cannoni,
sopra la zolla natia
di sangue di fratelli
zuppa
La speranza d'una strada nuova
non può arenarsi in fondo al mare.
La Madre Terra non ha figli vagabondi
Dio l'ha creata per amore,
...solo per amore...
Senza servi o padroni..
Senza frontiere.


venerdì 20 ottobre 2017

Bambina coraggiosa


Anche in Mozambico è presente il traffico di organi umani esteso in tutto il paese. Si dice che  in questo traffico sia implicato anche qualche elemento governativo. Questi strani commercianti hanno strutture proprie vicino agli aeroporti e in città marittime. Sono conosciuti luoghi e persone ma nessuno sa o parla. Sono facile preda   gli adolescenti e i  giovani, uomo o donna non importa. L’ambiente è favorevole agli spacciatori a causa della miseria e della facilità con la quale i genitori cedono i figli  a sconosciuti  con la promessa di  dare loro una vita migliore. Il desiderio di una vita  nuova per i figli non lascia immaginare ai genitori che ci sia qualcos’ altro oltre le parole. Con  questi signori avranno cibo e vestiti  a volontà.  In seguito i figli non si vedranno più. Alla preda si da subito qualche soldo e ai più giovani si mette nelle mani  una manciata di caramelle.   Può capitare anche che qualche padre, ricordando di avere dei figli lontano dalla sua ultima residenza e, volendo vendicarsi della ex convivente oppure semplicemente per avidità di soldi, vada alla ricerca di uno o più figli e li consegni a queste organizzazioni. Naturalmente neppure il genitore conosce la fine dei figli. Atteggiamenti , questi, fuori di ogni sensibilità umana. Se poi osserviamo, come dice il vescovo locale,  che neanche gli animali sono disposti a cedere la propria prole, immaginiamo, se ne siamo capaci, fin dove può arrivare la distorsione della mente umana.
 Questa   organizzazione criminale  è presente a Nacala. Nelle periferie  della città costruisce un complesso chiuso con accesso rigorosamente interdetto alle visite e ai “non addetti ai lavori”. Un secondo accesso dà al mare. I ragazzi e i giovani adescati finiscono lì e nessuno sa più nulla. C’è stato un periodo durante il quale  alcuni missionari   tentarono di denunciare all’opinione pubblica internazionale il movimento ma durò poco. La cosa era già conosciuta a livelli internazionali, all’ONU e altrove ma nulla si muoveva. Una missionaria laica che si occupava del traffico è stata uccisa a Nampula.
In questo quadro così losco s’ inserisce la storia della nostra adolescente alla quale diamo il nome di Jenìn. Questa è una dei figli di genitori separati e risposati molte volte. Lei conosce la madre, il papà non lo ricorda. Un giorno la madre le presenta un uomo, indicandolo  come suo  babbo ma non ha più nessun altro contatto  col genitore.  Ora Jenìn non abita con la madre. Ancora molto piccola va   a vivere con la nonna materna insieme al fratello.  In seguito si spostano da un conoscente all’altro, cercando in ognuno   ciò che   non può dare loro: la sicurezza di un casolare, l’amore dei genitori mancati e una vita serena. Il padre conosce bene la situazione dei due figli e segue di lontano tutti i  loro movimenti. I due  raggiungono l’età approssimativa di dodici - tredici anni e si muovono con più facilità, prestando i loro servizi presso le famiglie.   
Un giorno il papà, accompagnato da alcuni signori bianchi ben prestanti alla guida di un pulmino, va alla ricerca dei figli. Li incontra, li saluta e li prega di seguire gli amici, suoi benefattori. Il papà riceve la ricompensa e scompare.   I ragazzi, ignari dei loschi progetti del  genitore, entrano nel pulmino e subito ricevono caramelle e tante promesse. Poco più tardi si ritrovano nella periferia di Nacala in grandi locali. Qui incontrano altri ragazzi e giovani con i quali subito fanno amicizia. Tutti raccontano le   storie personali più o meno uguali. Sono trattati bene, mangiano, giocano ma non capiscono perché sono chiusi e nessuno li visita. Non possono incontrare nessuno ed è vietato uscire dal recinto. Notano anche che alcuni dei compagni alle volte scompaiono. Jenìn non vede più il fratello. Jenìn e alcune amiche chiedono di ritornare a casa e non trovano risposta,  vogliono uscire per incontrare amici e parenti ma viene loro vietato severamente, presentando scuse che non soddisfano nessuno.
Jenìn, abituata a giocare e a girare all’aria aperta, non resiste a un simile trattamento e progetta di fuggire. Non sa come fare né dove andare. Per un certo periodo osserva tutto in silenzio, ascolta le conversazioni degli altri sventurati, degli assistenti e delle guardie. Scopre dei movimenti che si ripetono quotidianamente. Capisce che non è possibile scavalcare i muri né fuggire da nessuna  porta perché all’esterno c’è la ronda che vigila giorno e notte. La ragazza non ha fretta ma vuole accelerare i tempi per paura che scompaia come la sua amica conosciuta lì dentro. Con lei avevano pensato a una fuga ma l’amica non c’è più e lei vuole attuare il piano da sola.  Mentre è seduta per terra in un angolo del cortile, sola e pensierosa, con la testa fra le mani, si avvicina una compagna, per dire il vero non molto simpatica. La ragazza desidera parlare con lei. “Scusa”, dice la ragazza, “io sono di Nampula, sono stata portata qui con inganno, promettendomi vestiti e soldi.  Non ho avuto nulla, anzi sono sorvegliata anche di notte. Mi chiamo Gracinta. Sono qui da venti giorni e sono stanca. Voglio  fuggire, ma non so come fare”.
Si sa che la necessità e lo stato di sopravivenza acuiscono l’intelligenza,   raffinano la scaltrezza e aumentano l’innato senso psicologico anche nei bambini. I   Makwa possiedono fin dall’infanzia un altissimo senso psicologico per cui ci si capisce benissimo non solo con le parole ma dai movimenti, dallo sguardo e, specialmente dal tono della voce. Tutto concorre a una intesa immediata anche fra sconosciuti. E’ quanto avviene fra le due prigioniere.  Quella compagna antipatica si trasforma in  amica e complice. Jenìn rivela subito  le sue intenzioni:      “Da alcuni giorni medito proprio questo, in due sarà più facile. Ascolta il mio piano e poi mi dirai: Alle volte vedo una guardia che avevo incontrato  nella zona dove vivevo, credo che lei possa aiutarci. Ci facciamo accompagnare alla stazione dei pullman e poi ciascuna va nella propria direzione. Ci stai? Dobbiamo parlare con  la guardia quando non c’è nessuno in giro”. “Bella idea”, risponde Gracinta, “io ho già parlato una volta con quella guardia. Devo trovare l’occasione per parlargli un’altra volta”.   
Tre giorni  dopo  le due amiche si trovano ben nascoste nella macchina della guardia in direzione della città.  Tutti tremano per la paura di un controllo. In questo caso i tre vengono eliminati senza pietà. La guardia non le accompagna fino ai mezzi di trasporto pubblici, sarebbe troppo rischioso per lui. Le lascia all’ingresso della città dove c’è molto traffico. Gracinta entra subito in una macchina di passaggio diretta a Nampula, Jenin si dilegua nella campagna e a piedi  raggiunge la zona di Sette di Aprile, un villaggio questo, a metà strada da Nacala a Memba. Ancora non è vicino al suo villaggio natale tuttavia lei si sente a casa e si può riposare sotto  un albero. La gente la vede   ma nessuno pensa che in quella ragazza ci sia qualcosa di particolare. Tutti sono abituati a simili scenari.
Jenìn dorme profondamente, quando si sveglia sente fame. E’ una fame causata dalla stanchezza accumulata durante la fuga e dallo stato di nervosismo  represso nei giorni di prigionia. Passa fra le bancarelle del mercato, osserva con avidità quel cibo appetitoso ma non ha soldi per comprare.  Desidera portar via qualcosa   però si sente osservata da tutti e desiste. Vaga per la campagna, qualcuno le rivolge la parola e lei scappa. Ha paura di chi si ricorda di lei. Osserva bene in ogni angolo alla ricerca della madre e del fratello. Forse anche lui è riuscito a fuggire dalle mani di quegli sconosciuti!  L’istinto fa riconoscere chi le vuole bene e di chi ci si può fidare, per questo osserva, cammina, fugge.  Ascolta molto,   parla pochissimo e, al  momento propizio si ferma e accetta ciò che le offrono.  Il cibo, il riposo, l’alloggio sono   cose   necessari ma in lei passano in secondo ordine.  La cosa più importante è vivere, poi si sistemerà tutto. Assapora la vita più che mai. Ha rischiato di perderla, ora è tutta sua, nelle sue mani e per nessuna cosa al mondo può rischiare di sciuparla.
 Arriva nella zona di  Geba e accetta l’ospitalità di chi si dice parente (stessa tribù). Dopo alcuni giorni le troppe domande dei conoscenti la mettono nuovamente in cammino. Vagando per la campagna si ritrova nella zona di Nakeka. Qui riconosce una sua familiare. Questa le dà indicazioni della madre e della famiglia. Dopo essersi riposata e aver mangiato a sazietà si mette nuovamente in viaggio.
Nel frattempo si diffonde la voce della sua fuga dalla casa del padrone che le aveva promesso ricchezze e benessere. Chi non conosce la realtà dice che la ragazza non doveva fuggire perché viveva con un padrone potente, mangiava a sazietà e non lavorava. Al contrario, chi conosce qualcosa del traffico degli organi dice che Jenìn è molto coraggiosa, è fortunata. Gli ultimi sono pronti a difenderla. Anche un missionario si mette sulle tracce dell’ adolescente per proteggerla, ascoltarla e, magari, avere un testimone prezioso nella lotta che sta conducendo contro il maledetto traffico. Nello stesso tempo  circola un’altra voce crudele e spietata che non ha simili: a Nacala s’ incontrano in un quartiere pezzi di corpi umani abbandonati in un prato non frequentato, vicino alla strada. Qualcuno riconosce la testa o arti di giovani  da tempo scomparsi.

Forse la nostra Jenìn non  è al corrente di tutto questo oppure ne ha sentito parlare come  una notizia crudele. Di fatto, lei è riuscita a scappare e ora cerca una casa sicura che possa proteggerla e amarla. La premura e l’amore del missionario la incontrano e la consegnano alla madre che vive a Napera, una comunità cristiana della sua missione.  


martedì 10 ottobre 2017

Assunta in cielo

  Maria Vergine assunta in cielo  15. 08.2017
Oggi, contempliamo la  Vergine Maria assunta in cielo accanto al suo figlio, splendente di bellezza, di benevolenza e di misericordia. La sentiamo in noi quale regina di tutte le grazie, potente della potenza di Dio che intercede in favore degli uomini, anche loro suoi figli, sempre pronta ad aiutarci e accompagnarci alla salvezza eterna. Tu, o Vergine Maria, ci vuoi felici su questa terra e per l’eternità. Nessun figlio escludi dalla tua felicità.
Oggi   vogliamo esprimerti qualche nostra preoccupazione affinché tu la presenti al tuo Figlio e, se è nei suoi piani, possa esaudirci.
Sappiamo o Vergine Maria, di esserci allontanati molte volte da Te e da Gesù Cristo, senza per questo dimenticarvi. Sappiamo che  nell’avvicinarci all’Eucaristia e   ai tuoi misteri di salvezza, non  siamo così decisi e convinti come dovremmo essere. Ci accontentiamo di affermare che siamo tuoi e che crediamo in Dio senza che Questo ci impegni  più di tanto nelle nostre decisioni e nella vita quotidiana. Il nostro credo rimane nebuloso, inefficace. Siamo caduti nell’isolamento e nell’egoismo, vediamo negli altri preferibilmente ciò che è negativo, pensiamo ai nostri interessi, a difendere noi stessi a costo di tutto. Siamo disposti anche ad affondare gli altri pur di non perdere qualcosa di noi. Quanto è amara  la nostra situazione! Isolati dal resto dell’umanità crediamo di essere a posto e che tutto dipenda noi!  Immersi in questa  condizione, o Vergine Maria,  oggi veniamo da Te  per deporre il nostro cuore nel tuo. E’ un cuore  bramoso di perfezione e desideroso di  una vita nuova, libera da ogni paura, una vita che possa accogliere tutti, specialmente coloro che hanno più necessità, non solo i nostri familiari e amici.
Penso ora alla massa di persone che fuggono dalla morte e dalla fame e arrivano fino alle nostre case. Ricordo l’ambiente dove vivevo fino a qualche anno fa, là periodicamente arrivava la fame. Quella fame che uccide, che non lascia scelte né discussioni perché mentre altri discutono sul come, quando e il perché aiutare chi non ha cibo muore di fame. La miseria non ha tempo. Anche ora la situazione non è cambiata. Non possiamo sentirci infastiditi o aver paura dei migranti, neppure quando si mostrano aggressivi. La loro insubordinazione, probabilmente, è la voglia di riscatto da una condizione da noi creata in passato. La loro prepotenza è poca cosa confrontata con la nostra, presentata loro con le armi sotto forma di progresso o per sete di potere. Ora dobbiamo sentirli amici e familiari.   Come noi sono povera gente che necessitano di amore, di amicizia e di condivisione. Come noi, sono figli di Dio e salvati dallo stesso sangue di Cristo. Il legame che ci unisce a loro è solo questo, non un legame economico o di progresso civile o altri risultati umani che si possono verificare.
Accogli, o Vergine Maria, un cuore pieno di amarezza per gli avvenimenti di questa terra. E’ un cuore pieno di dolore per le sconfitte personali, per i dispiaceri delle nostre famiglie.   Sono dolori per le malattie che si accumulano  senza tregua, per le morti che arrivano improvvise, per quelle naturali o provocate e per quelle scelte.            Nelle tue mani deponiamo la nostra esistenza per proteggerla e custodirla.
Vergine Maria Madre del Salvatore, affidiamo al tuo cuore di madre quello  di tutte le madri del mondo, specialmente di quelle che non trovano parole per consigliare i figli immersi nella   malavita, nel vagabondaggio, nella droga, nella disperazione e propensi al male perché senza lavoro. Ti affidiamo quelle madri i cui figli sono scomparsi nel nulla o sono vittime d’ ingiustizie e di vendette, madri dei figli venduti e fatti oggetto di speculazione per i progetti di persone senza scrupoli e che hanno perso il concetto stesso di persona umana.
(Ho presente in questo momento quei ragazzi trovati appesi in un grosso magazzino vicino a Nampula, pronti per essere squartati  al fine di vendere gli organi. Ho davanti agli occhi i bambini e i giovani del Bangladeh accecati  e mutilati per mandarli a chiedere l’elemosina in favore di potenti, ricordo una mamma costretta dalla fame a cedere il figlio a un ricercatore di pietre preziose che promette in cambio  vestiti e cibo e ….. mai più visto).
Ti presentiamo Vergine Maria, il nostro cuore pieno di sofferenze ma anche  ricolmo di fiducia e di gioia, nonostante le amarezze. Siamo contenti per la tua presenza in mezzo a  noi premurosa e pronta ad aiutarci in tutto. Siamo certi che non ti stancherai mai di noi, non permettere che noi ci dimentichiamo o ci stanchiamo mai di Te.   Grazie per la vita e l’amore che ci doni.  Ti ringraziamo perché ci dai il tuo Figlio, nostra unica salvezza. Grazie per gli amici che incontriamo nel cammino della vita e perché metti nel cuore dell’uomo l’anelito al bene, la speranza di una esistenza migliore e la forza di andare avanti in questo mare di lacrime.

O Vergine Maria assisa sul trono di Dio permetti che in questo giorno speciale Ti chiediamo ancora una grazia:  Fa che Ti cerchiamo sempre, cercandoti Ti incontriamo e incontrandoti Ti amiamo.  Non permettere che ci allontaniamo mai da Te. Grazie.


lunedì 9 ottobre 2017

poesia...L'araba fenice



Sguardi di bimbi
su campi
di solo pianto irrigati,
su crepe
di solchi dolenti,
ove nasce
la fame.
Il grano,
elemosinato
non parla di spighe
baciate dal sole
né di papaveri in fiore
La fantasia
non dimora
nella mente
privata di vitali
forme, sapori, colori
ove la speranza
non coglie fiori.
Ignora
che poco più in là,
oltre le capanne
grattacieli
d'umana avidità
ambisce
a rinnovarsi
in eterno
come l'araba fenice


Poesia....Suona xilofono



Suona xilofono
suona
ritmi solari...
creati da fresche
mani.
Suona xilofono
suona
ritmi antichi...
il ripetersi
della vita.
Suona xilofono
suona
il silenzio
della sera
africana...
accompagnami
in questo vagare
a cogliere
folate d'Oceano
e...la mia mente
a navigare
tra marosi
d'emozioni.


sabato 7 ottobre 2017

Colei che ci salvò dal colera...

Madre Paola Muzzeddu

Kavà febbraio 2009
Sento parlare di persone che muoiono di colera nella zona di Laia. Subito dopo chiamo l'anziano di quella comunità per conoscere meglio la situazione. L'anziano si presenta con i responsabili della comunità e mi comunicano che la malattia iniziò il 17 Novembre, la prima persona a morire fu Olanda Fernando e fino a quel momento erano morte 17 persone.
Dopo una settimana spaventati dalla  situazione, un gruppo di abitanti si reca dalle autorità locali per chiedere spiegazioni e aiuto.
Interviene l'amministratore Fabbrica con la polizia, il quale, minacciando il popolo con le armi, dice che in Lara non ci sarebbe stato alcun intervento in merito alla situazione e che potevano rivolgersi al punto sanitario più vicino. Questo (Calea) dista da Laia 15 chilometri. La zona contagiata resta così abbandonata a se stessa.
La gente si dirige verso Calea ma qui non trova nessun aiuto. Gli ammalati ritornano a casa in attesa della morte che non tarda ad arrivare.
Gli ammalati,a volte non ce la fanno ad arrivare a casa e finiscono i loro giorni per strada. Altri preferiscono rimanere nelle proprie abitazioni impossibilitati a muoversi.
Nel frattempo si muore tutti i giorni e al 17 Dicembre se ne contano 38 tutti con gli stessi sintomi: diarrea, vomiti, dimagrimento improvviso e nel giro di qualche giorno arriva la morte.
Avviso la comunità che sarei andato il 17 Dicembre per celebrare la Santa Messa e per visitarla in un momento tanto delicato.
I responsabili parrocchiani che sempre mi accompagnavano, questa volta si  rifiutano per paura della malattia e di essere aggrediti, come si fa di consueto in ogni villaggio. Vado con Matteo Augusto , un giovane di Laia che vive a Memba nello studentato della missione.
In Laia incontro poche persone perchè molti abbandonarono la zona, altri sono rimasti a casa ad assistere i famigliari e un gruppo occupato nel funerale di Agostino Mokwanya-
Questo era andato al punto sanitario di Calea con la speranza d'incontrare aiuto ma non ricevette alcuna medicina e fece rientro a casa dove morì appena arrivato.
Prima della celebrazione Eucaristica ricordo a tutti che nell'altare della loro chiesa ci sono le reliquie di Madre Paola Muzzeddu e di suor Gabriella Sagheddu e che solo loro possono aiutarci perchè vivono in Dio. Gli avvenimenti da poco vissuti ci dicono che non possiamo sperare niente dalle autorità civili che tutto sta nelle mani di Dio. Insisto sul fatto che la salvezza del popolo si ottiene con la preghiera fervorosa e con la piena fiducia nei
santi. Tutti hanno l'immagine di Madre Paola e invito a pregarla con fede e, se sarà nei piani di Dio, la malattia passerà.
Celebriamo la Santa Messa con poca solennità ma con grande fervore e fiducia, poi mi licenzio invitando, ancora una volta, alla preghiera.
Due settimane dopo, nell'incontro del consiglio parrocchiale, chiedo all'anziano di Laia come stavano le cose e lui risponde che ad iniziare dalla mia visita non era morto nessuno, anzi erano guarite anche le persone  che in quel momento erano ammalate. Incredulo ripeto alcune volte la stessa domanda ricevendo sempre la stessa risposta " dalla sua visita, Padre, nessuno è morto!"
Nell'ultimo giorno dell'anno nella sede parrocchiale è tradizione fare una veglia di preghiera che si protrae fino al primo giorno dell'anno successivo per ringraziare Dio del tempo concesso e chiedere aiuto per il nuovo anno.
Dei 200 giovani presenti nessuno aveva chiesto la pioggia ma durante la celebrazione eucaristica della notte tra il 2006 e il 2007 cade abbondante, quasi per completare l'avvenimento straordinario della settimana precedente.
La pioggia era scomparsa dal mese di Marzo e quella notte rallegrò il cuore di tutti.
Anche in Laia cadde abbondante, purificando l'ambiente e dando speranze alle persone.
Tutti siamo convinti che il popolo è stato salvato per intercessione di Madre Paola e non per le medicine che le autorità preposte negarono.


Parroco della Missione di Kavà


giovedì 5 ottobre 2017

Racconto...Le scimmie

Le scimmie
“Sei brutta come una scimmia, sei dispettoso come una scimmia”, oppure  semplicemente, “mi sembri una scimmia ”, si dice di una persona poco simpatica per attribuirle qualcosa di sgradevole e di poco simpatico. Che una scimmia non splenda di bellezza non occorre dimostrarlo, per gli altri casi cerchiamo di presentare alcuni  esempi che possono aiutarci a capire.
La difesa della scimmia
Tre giovani sono sul tetto della loro abitazione per riassettare la griglia delle canne dove appoggiare le palme per la coperture. Cantano e chiacchierano con allegria. Un branco di scimmie si avvicina in cerca di cibo e  accenna ad entrare in una abitazione vicina di proprietà di Basilio, uno dei giovani.  Basilio scende velocemente dal tetto dove lavora, afferra un bastone e corre in direzione del branco.  Gli animali fuggono, eccetto un esemplare di grande stazza.  E’ la madre che osserva la fuga repentina della prole, vede l’uomo che corre verso di essa.   L’animale scatta in direzione dell’uomo, pronta a difendere i piccoli i quali osservano da lontano. Il quadrupede si ferma, ritto sulle gambe posteriori in attesa dello scontro. Il volto cambia aspetto, diventa corrucciato e pieno di rughe, la grande bocca aperta mostra i poderosi denti ingialliti. Lancia il grido di guerra e aspetta l’avversario.
L’uomo conosce bene l’indole dell’animale e, deciso nel proteggere la sua abitazione, si dirige verso la scimmia. Si ferma a pochi passi dell’avversario, solleva in alto il bastone per allontanare  il rivale e sente nella propria testa qualcosa di molto duro. Il sangue gli cola sul viso mentre il suo bastone è nelle mani della madre scimmia. Accade che nell’atto di colpire l’animale questi strappa il bastone di mano dell’uomo e picchia con la medesima arma la testa del giovane, provocando una ferita grande e profonda. Attonito per l’accaduto il giovane s’ incanta. Vede l’animale sollevare solennemente il bastone in alto e  spezzarlo in due sulla propria bamba, butta i due pezzi ai piedi dell’aggredito e scappa per raggiungere i suoi piccoli. Anche il giovane correre verso un punto di soccorso, dove gli praticano quattro punti sulla testa.
 La scimmia e il bambino
Un bambino di pochi mesi giace nudo su un panno alla porta della casa. Lo proteggono  dai raggi solari  una stretta veranda che gira intorno all’ abitazione. Il caldo supera già i trenta gradi. La madre prepara il terreno per la semina a pochi metri di distanza. La zappa che adopera per raschiare la terra è ridotta al minimo, la sua lama ha raggiunto il buco del manico. La donna possiede solo quel mezzo, ha i soldi per comprare una nuova zappa ma il negozio dista novanta chilometri dal suo villaggio. Non ci sono mezzi per raggiungere la città, le strade sono sterrate e difficili da percorrere solo a piedi. La donna, come tanti altri che lavorano la terra, si deve accontentare di quel mozzicone di metallo in attesa di tempi migliori. Mentre dissoda la terra Ana, questo è il nome della signora, guarda la propria creatura che dorme pacificamente. Nella zona  sono scomparsi gli animali feroci, sono presenti solo alcuni branchi di scimmie che visitano periodicamente l’abitato ma nulla di preoccupante. Da più di una settimana le scimmie non si vedono in giro e si pensa che abbiano cambiato zona.
La donna possiede una capra che tiene legata dove c’è da brucare qualcosa. Ci sono anche alcune galline che razzolano nel piazzale, innocue per la creatura.  Ana zappa la terra, procura la legna per il fuoco, prepara il cibo, allatta la creatura, tutto in contemporanea. Si sa che le scimmie non aggrediscono se non sono disturbate e possono giocare beatamente con i bambini se lasciate in pace. Una scimmia, di qualche anno di età, si avvicina alla porta dell’abitazione, si ferma accanto al neonato, lo guarda con attenzione, gli gira attorno, vuole giocare con quell’essere da lui diverso pur assomigliandosi in qualche modo a essa. Mentre il quadrupede compie la sua ispezione viene avvistato dalla madre del bambino che, spaventata, corre per liberare la sua creatura dalla incomoda compagnia. Si spaventa anche l’animale e fugge, nascondendosi dietro la casa. Quando la donna riprende il suo lavoro e tutto sembra calmo, la scimmia ritorna dal neonato, con le mani pratica grosse ferite nella pancia della creatura, tenta di spaccare in due il bambino. Ana assiste alla scena,    inorridita e fuori di sé corre in aiuto del suo bambino ma inutilmente. Mentre Ana si avvicina, la scimmia solleva in alto la creatura e la butta in terra con forza ai piedi della madre, quindi scappa velocemente per raggiungere il branco.
La scimmia dispettosa
Nella zona di Chipene le scimmie invadono i campi coltivati e arrivano fino alle case per cercare cibo.  Non si spostano per il semplice rumore che produce l’uomo nel quotidiano lavoro ma occorre minacciarle con bastoni e inseguirle con lanci di pietre. Capita che, avvicinandosi troppo all’animale nell’intento di allontanarlo, questo accetti la sfida e ne abbia la meglio. Tamoil coltiva un grande campo a manioca e miglio. L’agricoltore segue fedelmente gli ultimi accorgimenti del Padre missionario in fatto di produzione agricola. Il campo ben ordinato, da una parte la manioca dall’altra il miglio, tutto in linea e ben pulito  permettere il controllo del podere con un solo sguardo. L’uomo è felice di come vanno le cose e prevede un abbondante raccolto. Alla comunità darà una parte maggiore degli altri anni quale ringraziamento a Dio. La pianta della manioca già  porta le sue radici allo scoperto, le pannocchie hanno la barba dorata, tutti segni che avvisano l’agricoltore della maturità del prodotto. Purtroppo Tamoil non   prevede l’impatto con le scimmie spesso allontanate con modi bruschi. Per due volte gli animali   sradicano le piante e rovinano le talee della manioca, frugano  anche sotto terra alla ricerca della semente del miglio ma subito  si   rimedia con la sostituzione di talee e di sementi. Tamoil non pensa alla scimmia dispettosa.
Il secondo giorno del raccolto di notte interviene un branco di scimmie, rovina un terzo del prodotto già raccolto, spezza le talee e si allontana in altri poderi. Tamoil non si altera per il danno subito e promette di dare la caccia spietata a tutte le scimmie. Sarebbe inutile adirarsi. Le scimmie, come spesso gli uomini, sembra che godano quando vedono altri adirati. Questo modo di procedere delle scimmie è comune a tutti i poderi con il cibo a loro gradito. I contadini non riescono a competere con gli animali e pregano un intervento massiccio dell’Amministratore. Questo, com’ è consuetudine alle autorità, temporeggia finché gli animali arrivano anche nel suo podere. Si organizza subito una grossa retata per cacciare le scimmie e salvare il prodotto della popolazione.  Avviene  un autentico sterminio degli animali indesiderati. Per diverso tempo la popolazione si ciba volentieri della carne prelibata di questo essere che tanto si rassomiglia all’uomo Per incontrare questi animali simpatici ma dispettosi. . Adesso occorre allontanarsi dalle abitazioni e dalle strade percorse dagli esseri umani.