Tutta l’Africa è disseminata di serpenti di ogni
misura e pericolosità. Ci sono serpenti piccoli che danno pochi minuti di vita
alla preda che morde. Ci sono i serpenti di due o tre metri i quali sono
pericolosi non perché mordono ma perché avvolgono la preda e la stritolano. C’è
anche un serpente verde innocuo lungo circa trenta centimetri. Tutti si possono incontrare
ovunque, per le strade, nei campi e all’interno di una abitazione. Preferiscono
i luoghi bui, sotto le foglie e in mezzo ai rami. Strano ma vero, c’è qualche
serpente che può mordere anche dopo morto e il suo morso è mortale. L’udito e
la vista degli indigeni scorgono di lontano la presenza di esseri che si
muovono in terra o sugli alberi. Con una
pietra o un bastone anche i ragazzi
riescono a difendersi bene. Sentiamo.
Nel pollaio
Si sente rumore inconsueto nel pollaio, le galline
si ritirano spaventate in un angolo, poi silenzio. Passa qualche minuto ed è calma
assoluta. Le guardie notturne si scaldano al fuoco acceso per
segnalare la presenza di qualcuno. Una guardia si alza improvvisamente e indica
a distanza di alcuni metri qualcosa che striscia. Il cobra, lasciato il pollaio,
si dirige verso la campagna. Le guardie
si alzano in piedi e impugnano il
machete e la lancia. L’animale aumenta la velocità ma è raggiunto da una lancia
che si conficca nella testa, bloccandolo a terra. La guardia si avvicina e assicura bene la
lancia in terra per fermare la preda,
poi tutti si siedono vicino al fuoco. Il rettile è lungo due metri e ottanta
centimetri ed è grosso abbastanza da ingoiare uno di loro senza alcuna
difficoltà. Con i primi bagliori della
luce gli uomini controllano il bottino e osservano che il serpente, dimenandosi
dalla stretta della lancia si svincola
dall’arma ma non riesce ad allontanarsi di molti metri. Nel preparare il
serpente per la padella, questo tipo di serpente è combustibile, le guardie trovano
nel suo interno una gallina ingoiata nel pollaio. Gli operai fortunati
commentano ridendo: “Guardi, padre, forse aveva fretta o è stato disturbato, l’ha
ingoiata così come l’ha trovata: sporca
e con le penne”.
Sui piedi
Sono seduto alla porta della cucina e scrivo con i
fogli e un libro appoggiati su una sedia che mi fa da scrivania. Ai piedi porto
le ciabatte facilmente accantonabili quando si è seduti. Mi esercito nella
lettura e scrittura del portoghese che ancora porta molta fuliggine nella mia
mente. Isolato dal resto del mondo odo solamente lo sbattere delle onde sugli
scogli a pochi metri di distanza. Avvolto dalla solitudine dell’ambiente e
immerso nella lettura, sento sui piedi un fresco fuori stagione e qualcosa che
scorre. E’ un fresco gradevole per cui, impassibile, permetto a ciò che dà sollievo faccia il suo
corso. Con la coda dell’occhio scorgo
sulla mia sinistra un serpente di circa venticinque centimetri allontanarsi. Mi alzo
per seguirlo mentre striscia ma è già
scomparso nella sterpaglia. La sensazione di fresco è piacevole così com’ è
grande il pericolo corso. I ragazzi mi dicono che se mi avesse morsicato quel
tipo di serpente mi avrebbe lasciato poche ore di vita. Ringraziamo la Madonna
dello scampato pericolo.
Uscito
dalla cunetta
Rientro da Nampula nel primo pomeriggio nella Land
Rover Defender vecchio tipo. La macchina è forte, alta, stile camioncino. Viaggia
con me un giovane indigeno che mi ha guidato nelle vie della città. La strada è
sterrata ma abbastanza agevole, è l’unica via percorribile con il fuoristrada. Siamo
sulla via Nampula – Corrane, quella che prosegue per Angoche. Nonostante sia
un’ arteria stradale importante, nel 1995 non sono frequenti le macchine.
Transitano soltanto i mezzi pubblici che collegano Nampula con Corrane e Liupo,
poi Nampula Angoche. Passano pochissimi mezzi privati e pochi camion di ditte
impegnate nella sistemazione della strada. Il silenzio degli automezzi
favorisce la libera circolazione dei
pochi animali ancora esistenti.
Lasciata la città da una ventina di chilometri in
lontananza vedo qualcosa come in un film. Qualcosa s’ innalza sul ciglio della
strada. La macchina si avvicina e io vedo un serpente che si eleva dritto al di
sopra dell’altezza della macchina mentre la parte terminale del corpo fa due
cerchi concentrici nella cunetta. La testa un po’ schiacciata fa un giro
all’intorno per osservare cosa lo circonda. Dalla bocca esce la lingua lunga
che bagna velocemente le labbra, quasi pregustando il suo bocconcino prelibato,
poi si vede il rettile, come una rigida canna, cadere in cunetta da dove era
apparso. Istintivamente commento: “Che bello, peccato che sia durato poco
tempo”. Mi interrompe il mio compagno di
viaggio: “Padre, può essere bello un serpente pericoloso?”
Dopo anni io lo osservo sempre davanti agli occhi,
maestoso, bello, piacevole a vedersi e poco a giocare con esso.
In casa
Che la casa della missione sia sempre aperta a tutti
è risaputo ma nessuno sogna di dare accoglienza ad ospiti indesiderati senza uno
specifico invito o un previo avviso.
Nella missione di Moma, in provincia di Nampula vive da molti anni un
giovane volontario spagnolo. Provvede da solo alle necessità più urgenti della
popolazione in una zona molto grande e disagiata. Durante la guerra lavorava
con un gruppo di missionari partiti subito dopo il conflitto. Martinez, questo il nome del
giovane, rimane sul campo e continua a lavorare. Benché sollecitato dalle
autorità religiose garanti a lasciare la zona perché diventata pericolosa per la sua solitudine, lui non si arrende. “Ho
lavorato durante la guerra”, dice, “perché abbandonare ora che la guerra è
finita?” Padre Mario, l’unico sacerdote
della missione, incontra le comunità una
volta all’anno per l’amministrazione dei sacramenti. Il missionario vive in una
zona lontana inserito in un gruppo missionario.
Visito
Martinez con padre Mario. All’ingresso della missione si vede subito un
serpente lungo più di tre metri, grosso, imbalsamato. E’ un monumento che
domina tutta la stanza spaziosa. “Non aver paura, padre Ottavio”, mi rassicura
il padrone di casa, indicandomi il rettile, “è morto e stecchito, mi fa
compagnia. A me rappresenta la vittoria delle vittorie”. Ci sediamo su delle
sedie di vimini intorno ad un tavolino anch’esso di vimini . Ci offre
dell’acqua fresca e racconta: “E’ un pomeriggio, mi riposo su quella sedia quando sento un rumore delicato ma strano alla porta. Non
aspetto nessuna visita e non c’è in programma alcun incontro. Mi alzo e apro la
porta. Entra strisciando un grosso serpente che si nasconde sotto il letto,
lungo la parete. Salto per lo spavento e realizzo subito il pericolo. Il
serpente in questione non è pericoloso quando morde ma, avvolgendosi alla preda
la stritola.
Con una mano
afferro un bastone, con l’altra una fiaccola e lo affronto. Lottiamo, come si
sul dire, corpo a corpo. Sudo in tutto il corpo non per il caldo afoso ma per
la tensione. In un attimo sento i vestiti bagnati e attaccati alla pelle. Mi
difendo con la fiaccola, col bastone tento di colpirlo alla testa. Esso si
innalza e si butta a terra con velocità per cui è difficile colpirlo
mortalmente. Nessuno mi può aiutare. Tento e ritento di colpirlo alla testa. Si
muove prontamente, spostandosi in altezza e lateralmente. Quando apre la bocca e la sua lingua esce e si ritira con
una velocità incredibile. Il sangue si gela nelle mie vene. Sono stanco ma devo
continuare la lotta, è questione di vita o di morte.
Se mi fermo finisco nella pancia del rettile e sparisco dalla faccia della terra senza
lasciare un segnale. Mi affido alla Madonna e al Signore. Come per incanto
riacquisto vigore e continuo la lotta.
Anche il serpente da segni di stanchezza. Riesco a colpirlo alla testa e si
ferma per un attimo. Approfitto e picchio ripetutamente sul capo finché lo
schiaccio. Mi fermo e vado fuori a riposarmi. Chiudo la porta per non lasciar
fuggire il rettile. Ritorno dopo alcune
ore e incontro il serpente non dove l’ho lasciato ma all’ interno della camera.
Mentre prego guardo il serpente e ringrazio i miei protettori per avermi
salvato. Vado nella cappella dove c’è il Santissimo, mi siedo in silenzio, non
riesco a dire nulla ma penso alla lotta quale segno di ringraziamento”.
Mertinez mi guarda e ride e dice: “Reverendi padri,
ora prepariamo il pranzo”. A Martinez un ringraziamento grande come la fatica
quotidiana che sostiene per la testimonianza di fede e la dedizione
incondizionata alla gente.
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