sabato 6 gennaio 2018

I serpenti...esperienza diretta..


Tutta l’Africa è disseminata di serpenti di ogni misura e pericolosità. Ci sono serpenti piccoli che danno pochi minuti di vita alla preda che morde. Ci sono i serpenti di due o tre metri i quali   sono pericolosi non perché mordono ma perché avvolgono la preda e la stritolano. C’è anche un serpente verde innocuo lungo circa  trenta centimetri. Tutti si possono incontrare ovunque, per le strade, nei campi e all’interno di una abitazione. Preferiscono i luoghi bui, sotto le foglie e in mezzo ai rami. Strano ma vero, c’è qualche serpente che può mordere anche dopo morto e il suo morso è mortale. L’udito e la vista degli indigeni scorgono di lontano la presenza di esseri che si muovono in terra o sugli alberi.  Con una pietra o un bastone anche i  ragazzi riescono a difendersi bene. Sentiamo.
Nel pollaio
Si sente rumore inconsueto nel pollaio, le galline si ritirano spaventate in un angolo, poi silenzio. Passa qualche minuto ed è calma assoluta. Le guardie notturne si scaldano al fuoco acceso   per segnalare la presenza di qualcuno. Una guardia si alza improvvisamente e indica a distanza di alcuni metri qualcosa che striscia. Il cobra, lasciato il pollaio, si dirige  verso la campagna. Le guardie si alzano in piedi  e impugnano il machete e la lancia. L’animale aumenta la velocità ma è raggiunto da una lancia che si conficca nella testa, bloccandolo a terra.  La guardia si avvicina e assicura bene la lancia in terra per  fermare la preda, poi tutti si siedono vicino al fuoco. Il rettile è lungo due metri e ottanta centimetri ed è grosso abbastanza da ingoiare uno di loro senza alcuna difficoltà.  Con i primi bagliori della luce gli uomini controllano il bottino e osservano che il serpente, dimenandosi dalla stretta della lancia  si svincola dall’arma ma non riesce ad allontanarsi di molti metri. Nel preparare il serpente per la padella, questo tipo di serpente è combustibile, le guardie trovano nel suo interno una gallina ingoiata nel pollaio. Gli operai fortunati commentano ridendo: “Guardi, padre, forse aveva fretta o è stato disturbato, l’ha ingoiata  così come l’ha trovata: sporca e con le penne”.
Sui piedi
Sono seduto alla porta della cucina e scrivo con i fogli e un libro appoggiati su una sedia che mi fa da scrivania. Ai piedi porto le ciabatte facilmente accantonabili quando si è seduti. Mi esercito nella lettura e scrittura del portoghese che ancora porta molta fuliggine nella mia mente.  Isolato dal resto del mondo  odo solamente lo sbattere delle onde sugli scogli a pochi metri di distanza. Avvolto dalla solitudine dell’ambiente e immerso nella lettura, sento sui piedi un fresco fuori stagione e qualcosa che scorre. E’ un fresco gradevole per cui, impassibile,  permetto a ciò che dà sollievo faccia il suo corso.   Con la coda dell’occhio scorgo sulla mia sinistra   un serpente di circa  venticinque centimetri allontanarsi. Mi alzo per seguirlo mentre  striscia ma è già scomparso nella sterpaglia. La sensazione di fresco è piacevole così com’ è grande il pericolo corso. I ragazzi mi dicono che se mi avesse morsicato quel tipo di serpente mi avrebbe lasciato poche ore di vita. Ringraziamo la Madonna dello scampato pericolo.
Uscito dalla cunetta
Rientro da Nampula nel primo pomeriggio nella Land Rover Defender vecchio tipo. La macchina è forte, alta, stile camioncino. Viaggia con me un giovane indigeno che mi ha guidato nelle vie della città. La strada è sterrata ma abbastanza agevole, è l’unica via percorribile con il fuoristrada. Siamo sulla via Nampula – Corrane, quella che prosegue per Angoche. Nonostante sia un’ arteria stradale importante, nel 1995 non sono frequenti le macchine. Transitano soltanto i mezzi pubblici che collegano Nampula con Corrane e Liupo, poi Nampula Angoche. Passano pochissimi mezzi privati e pochi camion di ditte impegnate nella sistemazione della strada. Il silenzio degli automezzi favorisce  la libera circolazione dei pochi animali ancora esistenti.
Lasciata la città da una ventina di chilometri in lontananza vedo qualcosa come in un film. Qualcosa s’ innalza sul ciglio della strada. La macchina si avvicina e io vedo un serpente che si eleva dritto al di sopra dell’altezza della macchina mentre la parte terminale del corpo fa due cerchi concentrici nella cunetta. La testa un po’ schiacciata fa un giro all’intorno per osservare cosa lo circonda. Dalla bocca esce la lingua lunga che bagna velocemente le labbra, quasi pregustando il suo bocconcino prelibato, poi si vede il rettile, come una rigida canna, cadere in cunetta da dove era apparso. Istintivamente commento: “Che bello, peccato che sia durato poco tempo”.  Mi interrompe il mio compagno di viaggio: “Padre, può essere bello un serpente pericoloso?”
Dopo anni io lo osservo sempre davanti agli occhi, maestoso, bello, piacevole a vedersi e poco a giocare con esso.
In casa
Che la casa della missione sia sempre aperta a tutti è risaputo ma nessuno sogna di dare  accoglienza ad ospiti indesiderati senza uno specifico invito o un previo avviso.
Nella missione di Moma,  in provincia di Nampula vive da molti anni un giovane volontario spagnolo. Provvede da solo alle necessità più urgenti della popolazione in una zona molto grande e disagiata. Durante la guerra lavorava con un gruppo di missionari partiti subito dopo  il conflitto. Martinez, questo il nome del giovane, rimane sul campo e continua a lavorare. Benché sollecitato dalle autorità religiose garanti a lasciare la zona perché diventata pericolosa  per la sua solitudine, lui non si arrende. “Ho lavorato durante la guerra”, dice, “perché abbandonare ora che la guerra è finita?” Padre Mario, l’unico  sacerdote della missione,  incontra le comunità una volta all’anno per l’amministrazione dei sacramenti. Il missionario vive in una zona lontana inserito in un gruppo missionario.
 Visito Martinez con padre Mario. All’ingresso della missione si vede subito un serpente lungo più di tre metri, grosso, imbalsamato. E’ un monumento che domina tutta la stanza spaziosa. “Non aver paura, padre Ottavio”, mi rassicura il padrone di casa, indicandomi il rettile, “è morto e stecchito, mi fa compagnia. A me rappresenta la vittoria delle vittorie”. Ci sediamo su delle sedie di vimini intorno ad un tavolino anch’esso di vimini . Ci offre dell’acqua fresca e racconta: “E’ un pomeriggio,  mi riposo su quella sedia quando  sento   un rumore delicato ma strano alla porta. Non aspetto nessuna visita e non c’è in programma alcun incontro. Mi alzo e apro la porta. Entra strisciando un grosso serpente che si nasconde sotto il letto, lungo la parete. Salto per lo spavento e realizzo subito il pericolo. Il serpente in questione non è pericoloso quando morde ma, avvolgendosi alla preda la stritola.
 Con una mano afferro un bastone, con l’altra una fiaccola e lo affronto. Lottiamo, come si sul dire, corpo a corpo. Sudo in tutto il corpo non per il caldo afoso ma per la tensione. In un attimo sento i vestiti bagnati e attaccati alla pelle. Mi difendo con la fiaccola, col bastone tento di colpirlo alla testa. Esso si innalza e si butta a terra con velocità per cui è difficile colpirlo mortalmente. Nessuno mi può aiutare. Tento e ritento di colpirlo alla testa. Si muove  prontamente, spostandosi  in altezza e lateralmente. Quando apre  la bocca e la sua lingua esce e si ritira con una velocità incredibile. Il sangue si gela nelle mie vene. Sono stanco ma devo continuare la lotta, è questione di vita o di morte.
Se mi fermo finisco nella pancia del rettile e   sparisco dalla faccia della terra senza lasciare un segnale. Mi affido alla Madonna e al Signore. Come per incanto riacquisto vigore  e continuo la lotta. Anche il serpente da segni di stanchezza. Riesco a colpirlo alla testa e si ferma per un attimo. Approfitto e picchio ripetutamente sul capo finché lo schiaccio. Mi fermo e vado fuori a riposarmi. Chiudo la porta per non lasciar fuggire  il rettile. Ritorno dopo alcune ore e incontro il serpente non dove l’ho lasciato ma all’ interno della camera. Mentre prego guardo il serpente e ringrazio i miei protettori per avermi salvato. Vado nella cappella dove c’è il Santissimo, mi siedo in silenzio, non riesco a dire nulla ma penso alla lotta quale segno di ringraziamento”.
Mertinez mi guarda e ride e dice: “Reverendi padri, ora prepariamo il pranzo”. A Martinez un ringraziamento grande come la fatica quotidiana che sostiene per la testimonianza di fede e la dedizione incondizionata alla gente.




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