sabato 9 dicembre 2017

La convivenza tra Religioni


Sono tante le moschee presenti nel territorio della missione di Kavà, molte di più che le cappelle cristiane. I musulmani ferventi s’ incontrano a pregare  cinque volte al giorno e ogni venerdì quale giorno da santificare. Chi non può andare nella moschea prega dove s’ incontra, in ginocchio con la faccia che tocca la terra. Quando sono i fedeli sono numerosi  si mettono uno accanto all’altro ben squadrati. Osservano rigorosamente il digiuno e   girano con la loro corona, ripetendo in continuazione “Alláh è grande, Alláh è forte, Alláh è potente….”. Nella recita di questa preghiera si nominano gli attributi convenienti alla divinità. Ci sono  i musulmani meno ferventi che si presentano alla preghiera quando ne hanno voglia o quando gli impegni di lavoro lo permettono. Ci sono pure quelli ai quali la religione non importa nulla e vivono senza niente praticare.  Gli ultimi forse sono i più numerosi. Anche per loro la sopravvivenza  prevale sulla pratica religiosa.
Non è raro riscontrare questo ultimo atteggiamento persino negli Iman (i capi delle comunità musulmane). Ricordo un mio falegname, iman della comunità di Mirepane, il quale non è mai stato visto  pregare o fermarsi nelle ore della preghiera. Di venerdì mai mi ha chiesto di andare nella vicina moschea per l’orazione comune. Lo stesso si dica per i musulmani e i loro capi che lavorano nei miei campi durante la preparazione della terra per la semina o durante il raccolto. Lavorano insieme ai cristiani e agli animisti senza alcun problema, pensando solo a ricevere il salario.  Sono uguali l’impegno e la moralità nel lavoro anzi,  ricordo dei casi in cui ad istigare e a organizzare il furto durante il lavoro sono stati proprio i cristiani e non i musulmani. Insomma, davanti alla difficoltà di salvarsi tutti siamo uguali poiché la sofferenza e la vita sono di tutte le religioni.
Fra gli amici più fidati incontrati al mio arrivo in parrocchia sono  un cristiano e il suo amico musulmano. Spesso  sono accusato dai cristiani, mai dai musulmani. Nei grandi negozi di Nacala sono sempre i musulmani a darmi subito fiducia, i cristiani  rimangono distanti e alle volte ostili. Dei tanti giovani dello studentato solo alla fine del corso si sa chi  é cristiano o musulmano poiché tutti  rispettano le regole allo stesso modo e frequentano le cerimonie cristiane dello studentato. E’ il caso di  Josè il quale, alla fine dei tre anni di permanenza nel gruppo, chiede il battesimo, assicurandomi che la famiglia è contenta della decisione. Mai aveva lasciato trapelare il dubbio che non fosse di famiglia cristiana.  Diversa storia ha Mario il quale passa da responsabile dei giovani cristiani alla pratica islamica a causa della seconda moglie musulmana. Considerata l’esperienza precedente, e per legarlo ancora di più al nuovo ambiente,  l’iman confida subito  a Mario   la direzione dei giovani musulmani.
Nella pratica della poligamia si annulla la religione e nel matrimonio si passa da una religione all’altra molto facilmente. Jacob è figlio di convertiti, è educato   nella  famiglia impegnata al completo nella comunità e nella parrocchia.            Trascorre il periodo degli studi nello studentato della missione. Con allegria e attenta preparazione contrae matrimonio cristiano con una giovane anch’essa cristiana. Dopo alcuni anni di serena di vita matrimoniale diventa poligamo. Prendendo come seconda moglie una musulmana,  Jacob  abbandona la chiesa cattolica e passa alla moschea. La prima moglie accetta la situazione ma continua a praticare la sua fede cristiana. Virgilio è un giovane cristiano, si sposa con una musulmana convertita. Per la sua conversione  é felice la famiglia musulmana. Alla cerimonia religiosa è presente tutta la tribù, alcuni ai margini dell’assemblea altri partecipando attivamente.




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