Sono tante le moschee presenti nel territorio della
missione di Kavà, molte di più che le cappelle cristiane. I musulmani ferventi
s’ incontrano a pregare cinque volte al
giorno e ogni venerdì quale giorno da santificare. Chi non può andare nella
moschea prega dove s’ incontra, in ginocchio con la faccia che tocca la terra.
Quando sono i fedeli sono numerosi si
mettono uno accanto all’altro ben squadrati. Osservano rigorosamente il digiuno
e girano con la loro corona, ripetendo
in continuazione “Alláh è grande, Alláh è forte, Alláh è
potente….”. Nella recita di questa preghiera si nominano gli attributi
convenienti alla divinità. Ci sono i
musulmani meno ferventi che si presentano alla preghiera quando ne hanno voglia
o quando gli impegni di lavoro lo permettono. Ci sono pure quelli ai quali la
religione non importa nulla e vivono senza niente praticare. Gli ultimi forse sono i più numerosi. Anche
per loro la sopravvivenza prevale sulla
pratica religiosa.
Non è raro riscontrare questo ultimo atteggiamento
persino negli Iman (i capi delle comunità musulmane). Ricordo un mio falegname,
iman della comunità di Mirepane, il quale non è mai stato visto pregare o fermarsi nelle ore della preghiera.
Di venerdì mai mi ha chiesto di andare nella vicina moschea per l’orazione
comune. Lo stesso si dica per i musulmani e i loro capi che lavorano nei miei
campi durante la preparazione della terra per la semina o durante il raccolto.
Lavorano insieme ai cristiani e agli animisti senza alcun problema, pensando
solo a ricevere il salario. Sono uguali
l’impegno e la moralità nel lavoro anzi, ricordo dei casi in cui ad istigare e a
organizzare il furto durante il lavoro sono stati proprio i cristiani e non i
musulmani. Insomma, davanti alla difficoltà di salvarsi tutti siamo uguali
poiché la sofferenza e la vita sono di tutte le religioni.
Fra gli amici più fidati incontrati al mio arrivo in
parrocchia sono un cristiano e il suo
amico musulmano. Spesso sono accusato
dai cristiani, mai dai musulmani. Nei grandi negozi di Nacala sono sempre i
musulmani a darmi subito fiducia, i cristiani
rimangono distanti e alle volte ostili. Dei tanti giovani dello
studentato solo alla fine del corso si sa chi é cristiano o musulmano poiché tutti rispettano le regole allo stesso modo e frequentano
le cerimonie cristiane dello studentato. E’ il caso di Josè il quale, alla fine dei tre anni di
permanenza nel gruppo, chiede il battesimo, assicurandomi che la famiglia è
contenta della decisione. Mai aveva lasciato trapelare il dubbio che non fosse
di famiglia cristiana. Diversa storia ha
Mario il quale passa da responsabile dei giovani cristiani alla pratica
islamica a causa della seconda moglie musulmana. Considerata l’esperienza
precedente, e per legarlo ancora di più al nuovo ambiente, l’iman confida subito a Mario la
direzione dei giovani musulmani.
Nella pratica della poligamia si annulla la
religione e nel matrimonio si passa da una religione all’altra molto
facilmente. Jacob è figlio di convertiti, è educato nella
famiglia impegnata al completo nella comunità e nella parrocchia. Trascorre il periodo degli studi
nello studentato della missione. Con allegria e attenta preparazione contrae
matrimonio cristiano con una giovane anch’essa cristiana. Dopo alcuni anni di
serena di vita matrimoniale diventa poligamo. Prendendo come seconda moglie una
musulmana, Jacob abbandona la chiesa cattolica e passa alla
moschea. La prima moglie accetta la situazione ma continua a praticare la sua
fede cristiana. Virgilio è un giovane cristiano, si sposa con una musulmana
convertita. Per la sua conversione é
felice la famiglia musulmana. Alla cerimonia religiosa è presente tutta la
tribù, alcuni ai margini dell’assemblea altri partecipando attivamente.
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