martedì 12 dicembre 2017

Giustizia sia fatta...


Nlaika è un ladro di professione, un residuo malavitoso della guerra con una sua banda conosciuta in tutta la regione. Non possiede armi per difendersi ma solo la scaltrezza unita alla velocità delle gambe. Il suo gruppo non è l’organizzazione peggiore ma quando in zona manca qualcosa ci si riferisce a lui in modo quasi sicuro.
Capita che muore un suo familiare e lui è accanto al defunto per ricevere la consolazione (le condoglianze) che il vicinato e i conoscenti porgono ai congiunti. Tutti sono meravigliati e contenti per la sua presenza. Forse  il giovane ha cambiato vita, pensano in molti. Termina il funerale, si rientra a casa e si trova l’abitazione del defunto ripulita di ogni cosa. Sono scomparsi gli abiti e i pochi soldi che il defunto aveva conservato, è scomparso anche Nlaika.
Un’altra volta sulle rive del fiume Mekupuri, vicino a Memba, si trova il cadavere di un giovane sconosciuto. Si rassomiglia a un ricercato. La gente pensa a uno dei tanti malavitosi che girano in cerca di cibo. La polizia non concorda con questa versione.  L’unico che potrebbe aiutare gli investigatori é Nlaika che per caso è presente nel villaggio. Lo si chiama per identificare la salma, pensando che il ritrovato faccia parte della sua banda. Il giovane si presenta, saluta l’amico disteso per terra, lo insulta perché non è riuscito a sopravvivere, (questo modo di fare rientra nell’ antica tradizione locale), lo spoglia degli stracci che porta addosso per essere sicuro della  persona, lo riveste, rivela la sua identità e va via. Tutto avviene alla luce del sole con la sorveglianza dei poliziotti.  Si dilegua Nlaika e appare Adelino, uno sconosciuto alla ricerca del suo amico scomparso da oltre dieci giorni. Lo cerca perché gli ha portato via i suoi risparmi. Adelino vede la ressa della gente, si avvicina e riconosce nel giovane disteso a terra il suo mico. Saluta il cadavere e cerca i suoi risparmi ma non trova nulla di quanto cerca. Adelino si allontana, esigendo dai poliziotti il suo denaro. I militi ordinano di sotterrare il cadavere da qualche parte e iniziano la ricerca di Nlaika.   Questi non ha mai  conosciuto il malcapitato e al momento dell’identificazione inventa tutto. Sugli agenti cade un velo di tristezza e si dubita della identità rivelata dai due. Nel frattempo Nlaika  si è volatilizzato, lasciando detto che se la polizia  vuole il bottino deve cercarlo nelle sue mutande, non nella persona del defunto.
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Spesso siamo propensi a pensare che nella vita di un disgraziato che non conosce altro se non vendetta e furto, ci possa essere spazio per un briciolo di pietà. Nella nostra mente rimane lontano l’idea che il suo cuore sia capace di atti di benevolenza. Alle volte non è così.  Scopriamo allora che anche il cuore più indurito nasconde, nei remoti meandri, la possibilità di tenerezza e di misericordia.
A Nacala Porto, distante da Memba ottanta chilometri,  è rapinato un corriere di una grossa azienda. Subito viene dato l’allarme e si iniziano le ricerche della banda  teppista senza risultato. Come sempre si pensa a Nlaika.  L’indagine non dà nessun esito positivo.  Nei villaggi vicini non c’è traccia del ricercato. Dopo lunghe e accurate ricerche si pensa di applicare una norma giuridica in vigore nell’ agire comune della polizia: Arrestare i parenti  del presunto colpevole finché questo non si consegna spontaneamente. La polizia locale si presenta, dunque, in casa della povera mamma di Nlaika e, non avendo trovato il ricercato nella sua abitazione,  la portano in prigione.  Gli agenti vanno anche in casa di Ancha, cugina del “buon” fuorilegge. Buono perché oltre il furto e qualche avventura amorosa per sedare il proprio istinto non  é capace di fare altro. Gli uomini al servizio della legalità, sicuri di incontrare   nell’abitazione il fuggiasco, pretendono di  controllare la casa senza  un mandato di perquisizione. Ancha non è una donna facilmente malleabile o timorosa. Lei non ha niente a che fare con il cugino, è sicura di non proteggere nessun ricercato. Inoltre vuole difendere le sue cose e i suoi figli da quegli uomini senza scrupoli vestiti di autorità. La  signora si appella   alla  tradizione secondo la quale una donna gravida o che allatta la propria creatura non può essere toccata da nessun uomo. Forte della tradizione la signora si mette all’ingresso dell’abitazione allattando il figlio di due mesi e si rifiuta categoricamente di far perquisire la casa. 
“Il padrone di casa è assente”, dice Ancha, “io non ho nessuna autorizzazione  per far entrare  nell’abitazione alcuna persona, dentro non ci sono ricercati, voi non entrate”. Con fare altezzoso gli agenti rispondono: “Noi abbiamo l’autorità di cercare nelle case il  latitante, siamo sicuri che Nlaika è protetto da te. E’ per questo che ti opponi alla perquisizione”. “Mi sento offesa quando dite che proteggo i delinquenti. Io e mio marito abbiamo sempre vissuto del nostro lavoro e non siamo mai venuti nelle vostre case a mendicare. Siamo persone oneste e voi non entrate in questa casa per nessun motivo”, replica  Ancha. “Se non ci fai entrare ti mettiamo in prigione”, continuano i poliziotti. “Vista la vostra prepotenza entrate, se avete il coraggio, tuttavia ricordate che il padrone di casa è assente”, insiste la  signora. Mentre parla, lascia libera la porta. La donna in questione è anche capo tribù e quindi un’autorità morale. Gli agenti si guardano in volto, sono meravigliati per la sfida rivolta  da Ancha. Pensano a eventuali feticci e hanno paura, tuttavia non possono arrendersi e dichiararsi sconfitti. “Noi non entriamo in casa ma tu e i tuoi figli verrete con noi in prigione”.  Ancha non si oppone, chiude la porta, prende i suoi due figli, mette in mano al figlioletto più grande una manciata di arachidi, si sistema bene sulle spalle il figlio più piccolo. Avvisa la vicina di casa dell’accaduto e raccomanda d’informare il marito quando rientrerà dal lavoro. La coraggiosa signora si avvia alla prigione scortata dalla polizia.  In prigione trova anche la madre di Nlaika.  Al contrario, il latitante non si trova da nessuna parte e  i parenti rimarranno in prigione fino a che il malvivente non si farà vivo. Arriva la sera, il comandante  considera la situazione della giovane donna e dei figli e li rilascia in libertà. In carcere rimane la vecchia madre del fuggiasco.   Il giovane viene informato   della carcerazione della madre per sconta la sua pena. Subito si costituirsi. “Non è bene che mia madre sia prigioniera per colpa mia, gli altri si, mia madre no”, dice il malvivente che riscopre per un po’ di tempo la pietà e la debolezza del cuore.





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