“Piacere Pino”,
“Piacere don Ottavio”.
In una consueta visita alla Casa per ospiti
carcerati la responsabile della comunità
mi presenta il nuovo ospite di passaggio. Per vivere i suoi brevi permessi
premio che il tribunale gli concede, Pino va a Marrizza. Qui incontra altri sventurati che scontano
la loro pena o sono in attesa di giudizio. Qui c’è la responsabile del centro
che dispensa a piene mani accoglienza, certezza e speranza. Tutti gli ospiti
trovano serenità, motivo di vita, e il recupero di una esistenza che sembrava persa o indirizzata nel
tetro buio dell’incognita.
Dopo vent’anni di rigore assoluto Pino può
assaporare l’inizio di una libertà dimenticata, può respirare l’aria pura e
salmastra del mare, può incantarsi davanti all’estensione delle acque sempre in
movimento e ammirare il cielo stellato del quale ha dimenticato il colore, la
forma e la composizione dei corpi celesti che lo abitano. Abituato all’oscurità
della cella, non ricorda i benefici della luce. La macchina blindata che lo
accompagna nei trasferimenti ha le pareti di lamiera come i furgoni che trasportano materiale
vario facilmente deteriorabile alla luce e all’aria. La mancanza di vetri nella
zona dove siede il “materiale umano” impedisce al sole di penetrare all’interno per sollevare l’umore
dei detenuti e scorgere qualche strada, forse conosciuta. Ora, quando cammina
in macchina accanto all’autista, Pino ha paura poiché gli sembra che tutte le
auto gli vengano addosso.
Come un bimbo che lascia
il seno materno, l’uomo si deve abituare alla luce del sole, ai colori della
natura, al vento che accarezza la pelle, muove i fiori e gli alberi, al volto
sereno o corrucciato delle persone che girano in fretta alla ricerca della
propria vita. Nel seno materno il feto si forma e cresce inconscio di tutto ciò
che lo circonda e ignaro di quello che accade. In tutto e per tutto dipende
dagli altri. Possiamo dire che lo stesso avviene nell’ assoluta segregazione e nel
buio delle celle di alta sorveglianza. Il recluso è sempre nelle mani degli
altri, deve essere pronto e ubbidiente, pena il suo deterioramento. Una minima
ribellione potrebbe complicare la situazione. Se da un lato l’assoluta
segregazione toglie la libertà dei movimenti dall’altra può raffinare l’animo e
fortificare la volontà nel bene. Fuori della cella deve abituarsi agli incontri sereni e fiduciosi
con i propri simili. Il buio dell’ambiente creato nel penitenziario ha prodotto
nell’animo di Pino una oscurità ben più
difficile da illuminare. Pino ci
tenta.
Affrancato
dagli occhi vigili delle guardie, senza la preoccupazione di non farsi sentire
dai vicini, a Marrizza il recluso può incontrare la
moglie, con lei ricordare il passato, raccontare il presente e, specialmente,
programmare il futuro. Un futuro di sacrifici nell’ambiente e in famiglia. Si
sa cosa si pensa e come ci si comporta nel territorio, specialmente in quello
natio, nei confronti di chi ha sbagliato gravemente. Si vede la persona perennemente
ancorata all’errore ed è difficile pensarla redenta. In famiglia sono cambiate
tante cose, si sono create nuove situazioni, altre persone sono entrate in essa
e il corso della vita non è quello lasciato. Riguardo alla sua ‘imminente’
liberazione, cinque anni ancora, l’uomo si mostra preoccupato ma fiducioso.
“Sarà dura ma non impossibile”, commenta
Pino, “ciò che m’ impegnerà di più sarà farmi accettare dalle due figlie,
ambedue mature. La prima ha il suo lavoro ed è indipendente, la seconda studia.
Insieme a mia moglie”, dice ancora
l’uomo, “riuscirò anche in questa impresa”.
Mentre parla, quasi per avere
conferma delle parole, guarda la signora che gli siede accanto con il volto raggiante di luce. Sbagliare è facilissimo. Ci si trova
trascinati da una spirale di odio e di morte alle volte per galanteria, altre
volte per avidità o per necessità oppure obbligati, coscienti ma impotenti nel
lasciare l’ambiente. Ricuperare è un
lavoro difficilissimo che impegna tutta la volontà e la forza morale.
Le figlie, Marica
20 anni ed Erica 14 anni, conoscono il padre come un recluso, uno lontano che sconta la
pena di qualcosa di molto grave, tanto grave da meritare 25 anni di stretta
separazione dal resto del mondo. Non l’hanno mai incontrato a casa, non hanno
mai giocato con lui, non hanno mai
ricevuto una carezza e ancor meno un aiuto nei momenti di difficoltà. Sanno che
è il genitore perché la loro madre lo ha presentato così. Il primo approccio
con il padre è attraverso le foto che conserva la mamma, poi in persona, in un
penitenziario dietro il vetro blindato con le guardie armate vicino. Prima di
incontrare il genitore sono perquisite all’ingresso, anche loro sospettate di chissà
quale cosa, poi sentono lo scricchiolio delle porte e delle chiavi fino ad
arrivare davanti a un bancone. Dopo l’attesa appare il padre scortato ma
sorridente. Il padre sembra aver dimenticato la sua condizione. Vede il volto
delle figlie che lo riempiono di gioia. In lui
suscitano nuove emozioni e fortificano la volontà di recupero. Le figlie
sono impassibili, non un sorriso, non una parola. Quell’uomo rimane lontano
anni luce dal loro mondo. La madre le aveva preparate all’incontro ma le emozioni,
i pensieri, il volto di quel recluso sono nuovi, imprevedibili. Nessuno conosce
l’impatto che provoca una simile scena nell’animo delle adolescenti. Solo chi
lo vive sulla propria pelle sa cosa significa. Anche a loro s’impone un lavoro non
facile di accettazione per vivere insieme e amarlo come padre attento, delicato
e responsabile. Le aiuterà l’ambiente in cui vivono? Le amicizie che si sono
coltivate avranno l’intelligenza e la forza morale per far propria la nuova situazione oppure le due
giovani dovranno vivere sempre col marchio di un prigioniero?. La tentazione
forte e pressante è quella di ripudiare il padre, anche se questo rimarrà
sempre il loro genitore.
Al momento della carcerazione Pino è latitante e
fidanzato con Maria. Durante la
contumacia la donna dà alla luce la loro creatura. Gli agenti dell’ordine
sorvegliano il reparto ospedaliero con la speranza di incontrare il ricercato. Credono
che l’istinto paterno superi quello dell’autodifesa. Attesa inutile e umiliante anche per la giustizia. Il
latitante conosce l’ astuzia della polizia per cui il clandestino preferisce immaginare la bellezza
della sua creatura piuttosto che avventurarsi in una visita molto pericolosa .
Alle volte anche la scaltrezza giuridica si rivela ingenua. Nonostante le sue
attenzioni, il giovane viene arrestato poco tempo dopo senza vedere il volto della figlia. Pino e
Maria sono fortemente innamorati e tale decidono di rimanere fino alla fine dei
giorni, nonostante tutto.
La sentenza del tribunale condanna l’uomo a 25 anni
di carcere, segregato dal resto del mondo, sorvegliato in ogni suo movimento.
La cella di alta sorveglianza è quella di massima sicurezza dove entrano solo i mafiosi e i grandi criminali. L’unico
momento di aggregazione è il giornaliero
tempo d’aria nel cortile del penitenziario dove convergono i detenuti. Il cortile è coperto con una rete spessa per
impedire la fuga dei malcapitati. Lungo il perimetro del chiostro c’è una corsia dove passeggiano le guardie
ben armate. Forse hanno paura anche loro benché siano pronte a tutto pur di
salvarsi. Pino riflette, riconosce, decide per una vita
nuova ispirata alla legalità, al rispetto e alla riparazione. Capisce che non è
la violenza a risolvere i problemi ma l’impegno che nasce dall’amore
incondizionato e orientato al bene dell’altro. In questo trova un esempio
chiaro e forte nella donna che ama. Nelle lunghe meditazioni che la situazione
dispone, il giovane comprende bene che la violenza è solo l’atto supremo
dell’egoismo che alimenta altro egoismo. Capisce il significato del servizio
come gesto di amore che avvicina l’altro,
lo comprende e si mette nelle condizioni
di camminare insieme.
Nel frattempo Maria non si scoraggia per la lontananza
obbligata del fidanzato, non lo lascia per nessun’altra proposta. Le difficoltà
nel seguire la figlia e le dicerie
dell’ambiente sono continue ma lei preferisce seguire la sua strada. La donna è
alimentata dalla forza della fede e dalla certezza che il suo fratello, ormai
al cospetto di Dio, la segue e la protegge. Col cuore e con la mente entra in carcere anche lei. Pino ne sente i benefici e s’impegna per una condotta giusta e irreprensibile pur
di ricomporre il nucleo familiare. Come
tutti i carcerati pericolosi il nostro uomo peregrina da un penitenziario all’altro, conosce reclusi di ogni tipo, impara i sotterfugi per
usufruire di qualche permesso o beneficio. Lo spostano spesso e all’improvviso
per non agganciare rapporti con i compagni e per far perdere le tracce agli
eventuali collaboratori che si trovano all’esterno. Nelle ore di luce conosce
un capo cellula degli anni di piombo
(Giuliano) e viene a sapere che di fronte alla sua cella c’è quella di uno dei più pericolosi malviventi dell’epoca
(Graziano Mesina). Lì dentro non ci sono vie intermedie che si possono seguire:
O si diventa ancor più delinquenti, e alle volte si sceglie il suicidio, oppure
si diventa santi. Il nostro amico sceglie la seconda via. Non si propone esplicitamente
la santità ma sceglie la via che conduce a essa. Per lui la santità non è
affare dei carcerati. Nella sua mente la perfezione cristiana è scomparsa da molto tempo.
La buona condotta di Pino consente alla moglie qualche visita sotto la
severa sorveglianza delle guardie. Più avanti nel tempo, gli innamorati riescono a contrarre matrimonio
civile all’interno del penitenziario. Il
fatto permette di riconoscere la figlia, a suo tempo registrata col cognome
della madre. Pino acquista fiducia
all’interno del carcere. Nel fascicolo
che lo accompagna come la sua pelle nei trasferimenti si leggono solo note
positive. Dove Pino arriva, gode subito di nuovi favori. Le
udienze con i familiari avvengono anche nel giardino interno del carcere
lontano dalla sorveglianza, in modo anche appartato. E’ proprio in uno di
questi incontri che i due decidono per
un secondo figlio. Un’ altra femminuccia sigilla l’amore fedele di Pino e Maria. La bambina prende il cognome del
padre e viene subito battezzata. I due sono cristiani, ancorati alla fede che
li sorregge. Ora desiderano suggellare il loro cammino con il sacramento del
matrimonio. Sperano di celebrarlo nel paese natale quale testimonianza di
rinascita nel perdono donato e accettato a piene mani.
1 commento:
grazie don Ottavio
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