sabato 15 luglio 2017

Per caso o per grazia?


“Piacere  Pino”, “Piacere don Ottavio”.
In una consueta visita alla Casa per ospiti carcerati la responsabile della  comunità mi presenta il nuovo ospite di passaggio. Per vivere i suoi brevi permessi premio che il tribunale gli concede,  Pino va a Marrizza.   Qui incontra altri sventurati che scontano la loro pena o sono in attesa di giudizio. Qui c’è la responsabile del centro che dispensa a piene mani accoglienza, certezza e speranza. Tutti gli ospiti trovano serenità, motivo di vita, e il recupero di una  esistenza che sembrava persa o indirizzata nel tetro buio dell’incognita.  
Dopo vent’anni di rigore assoluto  Pino può assaporare l’inizio di una libertà dimenticata, può respirare l’aria pura e salmastra del mare, può incantarsi davanti all’estensione delle acque sempre in movimento e ammirare il cielo stellato del quale ha dimenticato il colore, la forma e la composizione dei corpi celesti che lo abitano. Abituato all’oscurità della cella, non ricorda i benefici della luce. La macchina blindata che lo accompagna nei trasferimenti ha le pareti di  lamiera come i furgoni che trasportano materiale vario facilmente deteriorabile alla luce e all’aria. La mancanza di vetri nella zona dove siede il “materiale umano” impedisce al sole  di penetrare all’interno per sollevare l’umore dei detenuti e scorgere qualche strada, forse conosciuta. Ora, quando cammina in macchina accanto all’autista, Pino ha paura poiché gli sembra che tutte le auto gli vengano addosso.
Come un bimbo che   lascia il seno materno, l’uomo si deve abituare alla luce del sole, ai colori della natura, al vento che accarezza la pelle, muove i fiori e gli alberi, al volto sereno o corrucciato delle persone che girano in fretta alla ricerca della propria vita. Nel seno materno il feto si forma e cresce inconscio di tutto ciò che lo circonda e ignaro di quello che accade. In tutto e per tutto dipende dagli altri. Possiamo dire che lo stesso avviene nell’ assoluta segregazione   e nel buio delle celle di alta sorveglianza. Il recluso è sempre nelle mani degli altri, deve essere pronto e ubbidiente, pena il suo deterioramento. Una minima ribellione potrebbe complicare la situazione. Se da un lato l’assoluta segregazione toglie la libertà dei movimenti dall’altra può raffinare l’animo e fortificare la volontà nel bene. Fuori della cella deve  abituarsi agli incontri sereni e fiduciosi con i propri simili. Il buio dell’ambiente creato nel penitenziario ha prodotto nell’animo di Pino una oscurità  ben più difficile da illuminare. Pino ci tenta.
 Affrancato dagli occhi vigili delle guardie, senza la preoccupazione di non farsi sentire dai vicini, a  Marrizza il recluso può incontrare la moglie, con lei ricordare il passato, raccontare il presente e, specialmente, programmare il futuro. Un futuro di sacrifici nell’ambiente e in famiglia. Si sa cosa si pensa e come ci si comporta nel territorio, specialmente in quello natio, nei confronti di chi ha sbagliato gravemente. Si vede la persona perennemente ancorata all’errore ed è difficile pensarla redenta. In famiglia sono cambiate tante cose, si sono create nuove situazioni, altre persone sono entrate in essa e il corso della vita non è quello lasciato. Riguardo alla sua ‘imminente’ liberazione, cinque anni ancora, l’uomo si mostra preoccupato ma fiducioso. “Sarà dura ma non impossibile”, commenta Pino, “ciò che m’ impegnerà di più sarà farmi accettare dalle due figlie, ambedue mature. La prima ha il suo lavoro ed è indipendente, la seconda studia.  Insieme a mia moglie”, dice ancora l’uomo, “riuscirò anche in questa impresa”.   Mentre parla, quasi per avere conferma delle parole, guarda la signora che gli siede  accanto con il volto raggiante di luce.  Sbagliare è facilissimo. Ci si trova trascinati da una spirale di odio e di morte alle volte per galanteria, altre volte per avidità o per necessità oppure obbligati, coscienti ma impotenti nel lasciare l’ambiente.  Ricuperare è un lavoro difficilissimo che impegna tutta la volontà e la forza morale.
Le figlie, Marica 20 anni ed  Erica 14 anni, conoscono il padre come un recluso, uno lontano che sconta la pena di qualcosa di molto grave, tanto grave da meritare 25 anni di stretta separazione dal resto del mondo. Non l’hanno mai incontrato a casa, non hanno mai giocato con lui,  non hanno mai ricevuto una carezza e ancor meno un aiuto nei momenti di difficoltà. Sanno che è il genitore perché la loro madre lo ha presentato così. Il primo approccio con il padre è attraverso le foto che conserva la mamma, poi in persona, in un penitenziario dietro il vetro blindato con le guardie armate vicino. Prima di incontrare il genitore sono perquisite all’ingresso, anche loro sospettate di chissà quale cosa, poi sentono lo scricchiolio delle porte e delle chiavi fino ad arrivare davanti a un bancone. Dopo l’attesa appare il padre scortato ma sorridente. Il padre sembra aver dimenticato la sua condizione. Vede il volto delle figlie che lo riempiono di gioia. In lui  suscitano nuove emozioni e fortificano la volontà di recupero. Le figlie sono impassibili, non un sorriso, non una parola. Quell’uomo rimane lontano anni luce dal loro mondo. La madre le aveva preparate all’incontro ma le emozioni, i pensieri, il volto di quel recluso sono nuovi, imprevedibili. Nessuno conosce l’impatto che provoca una simile scena nell’animo delle adolescenti. Solo chi lo vive sulla propria pelle sa cosa significa. Anche a loro s’impone un lavoro non facile di accettazione per vivere insieme e amarlo come padre attento, delicato e responsabile. Le aiuterà l’ambiente in cui vivono? Le amicizie che si sono coltivate avranno l’intelligenza e la forza morale per  far propria la nuova situazione oppure le due giovani dovranno vivere sempre col marchio di un prigioniero?. La tentazione forte e pressante è quella di ripudiare il padre, anche se questo rimarrà sempre il loro genitore.
Al momento della carcerazione  Pino è latitante e fidanzato con Maria. Durante la contumacia la donna dà alla luce la loro creatura. Gli agenti dell’ordine sorvegliano il reparto ospedaliero con la speranza di incontrare il ricercato. Credono che l’istinto paterno superi quello dell’autodifesa. Attesa  inutile e umiliante anche per la giustizia. Il latitante conosce l’ astuzia della polizia per cui il  clandestino preferisce immaginare la bellezza della sua creatura piuttosto che avventurarsi in una visita molto pericolosa . Alle volte anche la scaltrezza giuridica si rivela ingenua. Nonostante le sue attenzioni, il giovane viene arrestato  poco tempo dopo senza vedere il volto della  figlia.   Pino e Maria sono fortemente innamorati e tale decidono di rimanere fino alla fine dei giorni, nonostante tutto.
La sentenza del tribunale condanna l’uomo a 25 anni di carcere, segregato dal resto del mondo, sorvegliato in ogni suo movimento. La cella di alta sorveglianza è quella di massima sicurezza dove entrano  solo i mafiosi e i grandi criminali. L’unico momento di aggregazione è il  giornaliero tempo d’aria nel cortile del penitenziario dove convergono i detenuti.  Il cortile è coperto con una rete spessa   per impedire la fuga dei malcapitati. Lungo il perimetro del   chiostro c’è una corsia dove passeggiano le guardie ben armate. Forse hanno paura anche loro benché siano pronte a tutto pur di salvarsi.  Pino riflette, riconosce, decide per una vita nuova ispirata alla legalità, al rispetto e alla riparazione. Capisce che non è la violenza a risolvere i problemi ma l’impegno che nasce dall’amore incondizionato e orientato al bene dell’altro. In questo trova un esempio chiaro e forte nella donna che ama. Nelle lunghe meditazioni che la situazione dispone, il giovane comprende bene che la violenza è solo l’atto supremo dell’egoismo che alimenta altro egoismo. Capisce il significato del servizio come  gesto di amore che avvicina l’altro, lo  comprende e si mette nelle condizioni di camminare insieme.
 Nel frattempo  Maria non si scoraggia per la lontananza obbligata del fidanzato, non lo lascia per nessun’altra proposta. Le difficoltà nel  seguire la figlia e le dicerie dell’ambiente sono continue ma lei preferisce seguire la sua strada. La donna è alimentata dalla forza della fede e dalla certezza che il suo fratello, ormai al cospetto di Dio, la segue e la protegge. Col cuore e con la mente   entra in carcere anche lei. Pino ne sente i benefici e s’impegna  per una condotta giusta e irreprensibile pur di ricomporre il nucleo familiare.  Come tutti i carcerati pericolosi il nostro uomo peregrina da un  penitenziario all’altro, conosce  reclusi di ogni tipo, impara i sotterfugi per usufruire di qualche permesso o beneficio. Lo spostano spesso e all’improvviso per non agganciare rapporti con i compagni e per far perdere le tracce agli eventuali collaboratori che si trovano all’esterno. Nelle ore di luce conosce un  capo cellula degli anni di piombo (Giuliano) e viene a sapere che di fronte alla sua cella c’è quella di  uno dei più pericolosi malviventi dell’epoca (Graziano Mesina). Lì dentro non ci sono vie intermedie che si possono seguire: O si diventa ancor più delinquenti, e alle volte si sceglie il suicidio, oppure si diventa santi. Il nostro amico sceglie la seconda via. Non si propone esplicitamente la santità ma sceglie la via che conduce a essa. Per lui la santità non è affare dei carcerati. Nella sua mente la perfezione cristiana è  scomparsa da molto tempo.

La buona condotta di  Pino  consente alla moglie qualche visita sotto la severa sorveglianza delle guardie. Più avanti nel tempo,  gli innamorati riescono a contrarre matrimonio civile all’interno del penitenziario.  Il fatto permette di riconoscere la figlia, a suo tempo registrata col cognome della madre. Pino acquista fiducia all’interno del  carcere. Nel fascicolo che lo accompagna come la sua pelle nei trasferimenti si leggono solo note positive. Dove   Pino arriva, gode subito di nuovi favori. Le udienze con i familiari avvengono anche nel giardino interno del carcere lontano dalla sorveglianza, in modo anche appartato. E’ proprio in uno di questi incontri che  i due decidono per un secondo figlio. Un’ altra femminuccia sigilla l’amore fedele di  Pino e Maria. La bambina prende il cognome del padre e viene subito battezzata. I due sono cristiani, ancorati alla fede che li sorregge. Ora desiderano suggellare il loro cammino con il sacramento del matrimonio. Sperano di celebrarlo nel paese natale quale testimonianza di rinascita nel perdono donato e accettato a piene mani.


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