lunedì 3 luglio 2017

La circoncisione....Bonito


Bonito è un ragazzo che vive nella missione da oltre un anno. E’ venuto al centro perché a casa non c’é di che mangiare. La carestia  ha iniziato a  raccogliere i suoi morti e ognuno si arrangia come può.  Non c’è chi   ruba perché da nessuna parte c’ é di che portar via. Bonito  vive con la zia materna, non perché manchino  la   madre o il padre ma perché fra i makwa vige la norma che i figli non rimangano  con i genitori ma vadano a crescere dai nonni o dai fratelli o da coloro che l’accolgono. Bonito   lascia la casa dei genitori all’età di quattro anni per andare a vivere con la nonna, poi  passa da un amico di famiglia e di seguito approda in casa della zia materna da dove   giunge con altri ragazzi alla missione. Qui  trova cibo, vestiti, acqua e, all’occorrenza, assistenza medica. La carestia obbliga molti ragazzi e bambini a rivolgersi alla missione per trovare salvezza. Le madri portano i figli piccolissimi. Non fanno discorsi né chiedono al missionario di accettarli, li lasciano semplicemente. Mentre si allontanano tutte le mamme hanno la stessa espressione: “Qui avranno di che mangiare”.
Questa volta  la siccità si   prolunga oltre ogni limite. I viveri scarseggiano e il  popolo si nutre di tutto, anche delle sementi conservate per la semina del nuovo anno.  La gente gira per le campagne e le strade alla ricerca di erbe da mangiare ma non trova nulla. Ora la carestia é passata e sono stati seppelliti i suoi morti.   La pioggia arriva in abbondanza, la gente  affida alla terra quelle pochissime sementi rimaste con la speranza  che il nuovo raccolto assicuri almeno la sopravvivenza. Alcuni ragazzi   rientrano alle loro famiglie o da altri amici. Liberi come gli uccelli del cielo quei bambini continuano la loro esistenza senza alcun obbligo con nessuno, sperando un pezzo di manioca, un sorriso, una voce amica. Bonito si  ferma con noi,  é di casa, non si allontana dalla missione. E’  presente con il suo corpo fragile, esile, con il volto che raramente abbozza un sorriso. E’ felice perché ha un rifugio sicuro. Per la sua timidezza spesso è deriso dai compagni non certo perché sono in miglior condizioni di lui ma perché più audaci e rissosi. Dai sui amici Bonito si fa scudo con il silenzio e si rifugia nel lavoro. Quando non ha una occupazione la chiede al responsabile. Nessuno lo vede bisticciare ma piuttosto seduto in un cantuccio a piangere senza mai lamentarsi. La sua presenza umile e silenziosa riempie lo studentato. Quando non é fra di loro, i compagni  lo cercano fino al suo rientro nel gruppo. Nella missione  é coccolato così come sanno fare i ragazzi, nella strada é difeso da loro e nessuno osa  deriderlo o, ancor meno, mettergli le mani addosso. All’occorrenza gli amici lo circondano pronti alla guerra per proteggerlo.
Bonito ormai  non è più un bambino e arriva il momento della circoncisione. Da bambino dovrà diventare adulto, dovrà imparare a vivere da adulto,  dovrà essere capace di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, potrà discutere nelle assemblee. Un giorno di buon mattino si presenta nella missione  il capo della sua tribù per chiedere la disponibilità del ragazzo e unirlo agli amici del quartiere per il rito della circoncisione. Bonito si prepara e parte. I ragazzi dello studentato lo accompagnano  per un tratto di strada. Non ha in mano la canna e non ripete “lukhu, lukhu” (non circonciso, non circonciso) come si fa di norma.  Porta con sé una busta di plastica con dentro un paio di pantaloncini mai usati e una  nuova maglietta , una manioca, un panino e nient’altro.  E’ contento, saluta con la mano sollevata come se dovesse partire per  un viaggio lontano. Saluta a voce alta: “Salama, salama” (state bene, arrivederci a un altro giorno). Nessuno può immaginare che quello sia l’ultimo saluto che Bonito dà ai compagni e alla missione. Scompare fra gli steli dell’alta vegetazione, i compagni rientrano contenti fra i canti e i salti.
Durante il periodo della segregazione solo pochi possono visitare il luogo dove sono i ragazzi.  Il responsabile dello studentato è incaricato per andare a trovarlo e fare da tramite fra  la compagnia lasciata e il futuro uomo nuovo.  Bonito ha già subito il taglio dovuto dal santone tradizionale. Nonostante l’assenza dell’ infermiere abilitato all’operazione tutto sembra procedere bene.  Trascorrono tre mesi di segregazione, i ragazzi rientrano a casa rinnovati: sono uomini nuovi del popolo makwa. Anche Bonito rientra nella casa del capo tribù ma non sta bene, non si rimargina la ferita. I familiari tentano di curarlo con le medicine tradizionali senza alcun risultato. Il ragazzo non cammina, non si regge in piedi, non mangia, il volto è bianco come la neve, la ferita è purulenta. I familiari sono convinti che un feticcio potente abbia invaso il ragazzo. Chiedo di portarlo all’ospedale e ottengo un netto rifiuto.  Ritengono   inutile il trasloco perché il ragazzo è stato “tutto infeticciato” e non esistono cure per salvarlo. Bonito ha finito i suoi giorni e la sua salvezza è la tomba.
Passa ancora una settimana quando un tardo pomeriggio arriva la notizia: Bonito è morto.  Oramai è troppo tardi  per procedere ai funerali, si faranno la mattina seguente. Povero ragazzo vittima della tradizione. I compagni si raccolgono intorno al Padre missionario senza parole, nessuno si muove, pensano al saluto festoso della partenza. Per Bonito era un saluto inconsueto presago di qualcosa di grande. Quell’ “arrivederci a un altro giorno”, quella mano alzata non erano gesti quotidiani per lui e ora diventano misteriosi. Un profondo, triste silenzio scende nella missione.  Nessuno vorrebbe muoversi. Quella sera nessuno sente la necessità di giocare o di mangiare. Non c’è chi vuole cucinare. Tutti i compagni vogliono essere presenti alla cerimonia di addio per manifestare ai partecipanti il loro affetto per l’amico buono, silenzioso, laborioso. Al rito funebre sono presenti anche i compagni non circoncisi, cosa  inconsueta. Passa molto tempo prima di riprendere il normale ritmo di vita. Nel ricordo di Bonito alcuni ragazzi promettono di non farsi circoncidere. Di lui abbiamo una  foto che appendiamo in cappella, affidandolo al Signore e alla Madonna.





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