Bonito
è un ragazzo che vive nella missione da oltre un anno. E’ venuto al centro
perché a casa non c’é di che mangiare. La carestia ha iniziato a raccogliere i suoi morti e ognuno si arrangia
come può. Non c’è chi ruba perché da nessuna parte c’ é di che
portar via. Bonito vive con la zia
materna, non perché manchino la madre o il padre ma perché fra i makwa vige
la norma che i figli non rimangano con i
genitori ma vadano a crescere dai nonni o dai fratelli o da coloro che l’accolgono.
Bonito lascia la casa dei genitori
all’età di quattro anni per andare a vivere con la nonna, poi passa da un amico di famiglia e di seguito
approda in casa della zia materna da dove
giunge con altri ragazzi alla missione. Qui trova cibo, vestiti, acqua e, all’occorrenza,
assistenza medica. La carestia obbliga molti ragazzi e bambini a rivolgersi
alla missione per trovare salvezza. Le madri portano i figli piccolissimi. Non
fanno discorsi né chiedono al missionario di accettarli, li lasciano
semplicemente. Mentre si allontanano tutte le mamme hanno la stessa
espressione: “Qui avranno di che mangiare”.
Questa
volta la siccità si prolunga oltre ogni limite. I viveri
scarseggiano e il popolo si nutre di
tutto, anche delle sementi conservate per la semina del nuovo anno. La gente gira per le campagne e le strade
alla ricerca di erbe da mangiare ma non trova nulla. Ora la carestia é passata
e sono stati seppelliti i suoi morti. La pioggia arriva in abbondanza, la gente affida alla terra quelle pochissime sementi
rimaste con la speranza che il nuovo
raccolto assicuri almeno la sopravvivenza. Alcuni ragazzi rientrano alle loro famiglie o da altri
amici. Liberi come gli uccelli del cielo quei bambini continuano la loro
esistenza senza alcun obbligo con nessuno, sperando un pezzo di manioca, un
sorriso, una voce amica. Bonito si ferma
con noi, é di casa, non si allontana
dalla missione. E’ presente con il suo
corpo fragile, esile, con il volto che raramente abbozza un sorriso. E’ felice
perché ha un rifugio sicuro. Per la sua timidezza spesso è deriso dai compagni
non certo perché sono in miglior condizioni di lui ma perché più audaci e
rissosi. Dai sui amici Bonito si fa scudo con il silenzio e si rifugia nel
lavoro. Quando non ha una occupazione la chiede al responsabile. Nessuno lo
vede bisticciare ma piuttosto seduto in un cantuccio a piangere senza mai
lamentarsi. La sua presenza umile e silenziosa riempie lo studentato. Quando
non é fra di loro, i compagni lo cercano
fino al suo rientro nel gruppo. Nella missione
é coccolato così come sanno fare i ragazzi, nella strada é difeso da
loro e nessuno osa deriderlo o, ancor
meno, mettergli le mani addosso. All’occorrenza gli amici lo circondano pronti
alla guerra per proteggerlo.
Bonito
ormai non è più un bambino e arriva il
momento della circoncisione. Da bambino dovrà diventare adulto, dovrà imparare
a vivere da adulto, dovrà essere capace
di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, potrà discutere nelle
assemblee. Un giorno di buon mattino si presenta nella missione il capo della sua tribù per chiedere la
disponibilità del ragazzo e unirlo agli amici del quartiere per il rito della
circoncisione. Bonito si prepara e parte. I ragazzi dello studentato lo
accompagnano per un tratto di strada.
Non ha in mano la canna e non ripete “lukhu, lukhu” (non circonciso, non
circonciso) come si fa di norma. Porta
con sé una busta di plastica con dentro un paio di pantaloncini mai usati e una
nuova maglietta , una manioca, un panino
e nient’altro. E’ contento, saluta con
la mano sollevata come se dovesse partire per
un viaggio lontano. Saluta a voce alta: “Salama, salama” (state bene, arrivederci
a un altro giorno). Nessuno può immaginare che quello sia l’ultimo saluto che
Bonito dà ai compagni e alla missione. Scompare fra gli steli dell’alta
vegetazione, i compagni rientrano contenti fra i canti e i salti.
Durante
il periodo della segregazione solo pochi possono visitare il luogo dove sono i
ragazzi. Il responsabile dello
studentato è incaricato per andare a trovarlo e fare da tramite fra la compagnia lasciata e il futuro uomo nuovo. Bonito ha già subito il taglio dovuto dal
santone tradizionale. Nonostante l’assenza dell’ infermiere abilitato all’operazione
tutto sembra procedere bene. Trascorrono
tre mesi di segregazione, i ragazzi rientrano a casa rinnovati: sono uomini
nuovi del popolo makwa. Anche Bonito rientra nella casa del capo tribù ma non
sta bene, non si rimargina la ferita. I familiari tentano di curarlo con le
medicine tradizionali senza alcun risultato. Il ragazzo non cammina, non si
regge in piedi, non mangia, il volto è bianco come la neve, la ferita è
purulenta. I familiari sono convinti che un feticcio potente abbia invaso il
ragazzo. Chiedo di portarlo all’ospedale e ottengo un netto rifiuto. Ritengono inutile
il trasloco perché il ragazzo è stato “tutto infeticciato” e non esistono cure
per salvarlo. Bonito ha finito i suoi giorni e la sua salvezza è la tomba.
Passa
ancora una settimana quando un tardo pomeriggio arriva la notizia: Bonito è
morto. Oramai è troppo tardi per procedere ai funerali, si faranno la
mattina seguente. Povero ragazzo vittima della tradizione. I compagni si
raccolgono intorno al Padre missionario senza parole, nessuno si muove, pensano
al saluto festoso della partenza. Per Bonito era un saluto inconsueto presago
di qualcosa di grande. Quell’ “arrivederci a un altro giorno”, quella mano
alzata non erano gesti quotidiani per lui e ora diventano misteriosi. Un
profondo, triste silenzio scende nella missione. Nessuno vorrebbe muoversi. Quella sera
nessuno sente la necessità di giocare o di mangiare. Non c’è chi vuole
cucinare. Tutti i compagni vogliono essere presenti alla cerimonia di addio per
manifestare ai partecipanti il loro affetto per l’amico buono, silenzioso,
laborioso. Al rito funebre sono presenti anche i compagni non circoncisi,
cosa inconsueta. Passa molto tempo prima
di riprendere il normale ritmo di vita. Nel ricordo di Bonito alcuni ragazzi
promettono di non farsi circoncidere. Di lui abbiamo una foto che appendiamo in cappella, affidandolo
al Signore e alla Madonna.
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