La morte di una persona cara è sempre un trauma. In
chi rimane su questa terra essa segna un altro stile di vita: Si lasciano delle
abitudini per prenderne altri, si innestano ricordi benevoli e, alle volte,
rimorsi dolorosi. Il vuoto lasciato da chi parte non si può colmare perché non
si sente più la voce, mancano le lamentele o gli apprezzamenti per i servizi
prestati. Si prestano ad altri le
attenzioni che prima si prodigavano a
chi non è più. Nessuno può sostituire la persona cara. Eppure quella persona è
viva, la si sente accanto, si parla con lei, a lei si chiedono consigli, si
sente la risposta, ancora si lavora insieme. Tutto avviene in modo differente,
misterioso ma reale nel cuore e nell’anima.
Ora accompagniamo il nostro fratello all’estrema
dimora. Lui entra a far parte delle persone che godono la salvezza assicurata
da Cristo morto e risorto.
Confortato dal vangelo di oggi che ci assicura che
le forze del male non prevarranno mi è caro pensare il fratello nella gloria di
Dio, assicurata a tutti coloro che si affidano a Lui.
Non
mi è difficile vedere la vita di zio Pietrino in quella di Giobbe.
Questo era un personaggio biblico facoltoso,
buono, attento alla famiglia e ai sudditi. Va in fallimento, perde tutto, anche
la salute. Il suo corpo si copre di piaghe e tutti lo invitano a maledire il
suo Dio che ha permesso una simile situazione. Al contrario Giobbe risponde: Oh, se le mie parole si scrivessero!
Se s’ imprimessero sulla roccia con stilo di ferro e con piombo! Io so che il
mio redentore è vivo e che ultimo si ergerà sulla polvere. Quando il mio corpo
si sarà disfatto con questi miei occhi io, io stesso Lo vedrò. Giobbe va oltre
il momento penoso che vive, considera le sue sofferenze non fine a se stesse ma
in relazione della vita che troverà in Dio dopo l’esperienza dell’annullamento
del corpo. Giobbe vive nel desiderio l’esperienza della morte e della
resurrezione. Quanto detto da Giobbe si realizzerà in ciascuno di noi con la
potenza del Cristo morto e risorto.
Se non
avessimo questa certezza a che servirebbe la lotta della vita del nostro
fratello che accompagniamo all’estrema dimora? Quale ricompensa per una
esistenza spesa per la famiglia, nel portare avanti una famiglia di nove figli
dei quali otto vivi? Nell’educarli al lavoro, all’unità, al servizio e
generosità fino ad assicurare una dimora a ciascuno? Quale ricompensa per il
sudore versato nell’attività costante e lungimirante della sua vita? A che
servirebbe ora l’amore, la fedeltà, la dedizione alla moglie per i lunghi e
duri anni trascorsi insieme? Dove è finita l’amicizia con i colleghi di lavoro? Quale frutto ha potuto cogliere dalle gioie e dalle
fatiche di una vita se gli ultimi anni li ha trascorsi nell’incoscienza e alla
mercé di tutti? Certo, riceveva amore, attenzione, servizio costante ma lui non
ne era consapevole.
Per chi guarda solo alla terra e non solleva lo
sguardo al cielo, oltre il travaglio delle sofferenze tutto si risolve in un
autentico fallimento. Per i cristiani, al contrario, è il prezzo di una
eternità beata. Per noi grida ancora Giobbe che ricorda: Il mio Redentore è
vivo e ultimo si ergerà sulla polvere
(la polvere dei nostri corpi e delle realtà
terrene). Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne vedrò Dio, io stesso, i miei occhi lo
contempleranno così come è. Qui sulla terra paghiamo un prezzo altissimo perché
la ricompensa che ci aspetta è infinita, eterna.
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