giovedì 30 novembre 2017

Per la morte di un amico


La morte di una persona cara è sempre un trauma. In chi rimane su questa terra essa segna un altro stile di vita: Si lasciano delle abitudini per prenderne altri, si innestano ricordi benevoli e, alle volte, rimorsi dolorosi. Il vuoto lasciato da chi parte non si può colmare perché non si sente più la voce, mancano le lamentele o gli apprezzamenti per i servizi prestati.  Si prestano ad altri le attenzioni  che prima si prodigavano a chi non è più. Nessuno può sostituire la persona cara. Eppure quella persona è viva, la si sente accanto, si parla con lei, a lei si chiedono consigli, si sente la risposta, ancora si lavora insieme. Tutto avviene in modo differente, misterioso ma reale nel cuore e nell’anima.
Ora  accompagniamo il nostro fratello all’estrema dimora. Lui entra a far parte delle persone che godono la salvezza assicurata da Cristo morto e risorto.  
Confortato dal vangelo di oggi che ci assicura che le forze del male non prevarranno mi è caro pensare il fratello nella gloria di Dio, assicurata a tutti coloro che si affidano a Lui.
Non mi è difficile vedere la vita di zio Pietrino in quella di Giobbe.
 Questo era un personaggio biblico facoltoso, buono, attento alla famiglia e ai sudditi. Va in fallimento, perde tutto, anche la salute. Il suo corpo si copre di piaghe e tutti lo invitano a maledire il suo Dio che ha permesso una simile situazione.  Al contrario Giobbe  risponde: Oh, se le mie parole si scrivessero! Se s’ imprimessero sulla roccia con stilo di ferro e con piombo! Io so che il mio redentore è vivo e che ultimo si ergerà sulla polvere. Quando il mio corpo si sarà disfatto con questi miei occhi io, io stesso Lo vedrò. Giobbe va oltre il momento penoso che vive, considera le sue sofferenze non fine a se stesse ma in relazione della vita che troverà in Dio dopo l’esperienza dell’annullamento del corpo. Giobbe vive nel desiderio l’esperienza della morte e della resurrezione. Quanto detto da Giobbe si realizzerà in ciascuno di noi con la potenza del Cristo morto e risorto.
 Se non avessimo questa certezza a che servirebbe la lotta della vita del nostro fratello che accompagniamo all’estrema dimora? Quale ricompensa per una esistenza spesa per la famiglia, nel portare avanti una famiglia di nove figli dei quali otto vivi? Nell’educarli al lavoro, all’unità, al servizio e generosità fino ad assicurare una dimora a ciascuno? Quale ricompensa per il sudore versato nell’attività costante e lungimirante della sua vita? A che servirebbe ora l’amore, la fedeltà, la dedizione alla moglie per i lunghi e duri anni trascorsi insieme?   Dove è finita l’amicizia con  i colleghi di lavoro? Quale  frutto ha potuto cogliere dalle gioie e dalle fatiche di una vita se gli ultimi anni li ha trascorsi nell’incoscienza e alla mercé di tutti? Certo, riceveva amore, attenzione, servizio costante ma lui non ne era consapevole.
Per chi guarda solo alla terra e non solleva lo sguardo al cielo, oltre il travaglio delle sofferenze tutto si risolve in un autentico fallimento. Per i cristiani, al contrario, è il prezzo di una eternità beata. Per noi grida ancora Giobbe che ricorda: Il mio Redentore è vivo e  ultimo si ergerà sulla polvere (la polvere dei nostri corpi e delle realtà  terrene). Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne  vedrò Dio, io stesso, i miei occhi lo contempleranno così come è. Qui sulla terra paghiamo un prezzo altissimo perché la ricompensa che ci aspetta è infinita, eterna.



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