Anche le scimmie piangono
Nei racconti di un vecchio
missionario ce ne sono alcuni particolarmente significativi che
meritano di essere ricordati. Padre Pio Santo Canova ricorda così gli inizi del
suo ministero nella zona di Lurio.
“Nella zona di Lurio vengo col gruppo missionario per conoscere le terre al fine di fondare una missione. Al mio arrivo tutta la vastissima zona é un’unica foresta interrotta
da ampie savane abitate da molte specie di animali. Vivono indisturbati, i palapala, le gazzelle e
molti tipi di maiali selvatici. Non mancano
i leoni, gli elefanti, le scimmie, i leopardi. Sono
tutti animali che scendono nei piccoli villaggi alla ricerca di cibo. Quando gli
animali non hanno fame o non sono disturbati la gente convive con essi quasi
serenamente. Noi missionari siamo anche
provetti cacciatori perciò la carne non manca mai nella mensa della
missione. Gli animali preferiti sono le gazzelle, i palapala e, in mancanza di
questi si cacciano anche le scimmie, più numerose e più facili da rintracciare.
Appena arrivati sul posto prescelto
per impiantare la missione si costruisce una cappella, un centro sanitario, un
centro di alfabetizzazione per ragazzi e ragazze, le abitazioni del personale missionario e degli
operatori. Per realizzare tutto questo occorre molto tempo. Non ovunque arriva
il fuoristrada per cui il materiale si deve trasportare spesso a piedi e sulla
testa per molti chilometri. In compenso abbiamo
a disposizione tutto il tempo necessario. Sembra che gli anni e i secoli ci
appartengano.
Fiumane di persone si accalcano
nel centro sanitario con ogni forma di malattie. Spesso sono persone con lo
stomaco vuoto da molto tempo. Il centro di alfabetizzazione ospita in modo
permanente cinquanta ragazzi e alcune ragazze, altri arrivano a piedi dai
centri più vicini. Dobbiamo sudare parecchio per aprire la scuola poiché il saper
leggere e scrivere non offre subito da mangiare e i familiari devono
lavorare inutilmente, aspettando i benefici della istruzione. Una particolare avversione
si riscontra per le ragazze, nate per dare un’ abbondante discendenza alla
tribù. Per far questo non occorre saper leggere e scrivere, inoltre nel periodo
dello studio si perde tempo e si acquistano brutte abitudini. In realtà
l’istruzione delle ragazze rallenta lo sviluppo della tribù. Nella situazione
descritta il mio compito é quello di evangelizzare mente e anima, oltre ad
assicurare il cibo quotidiano”. Mentre racconta, padre Canova sembra rivivere
quei momenti., orgoglioso delle sue imprese.
“Una volta mi sono dovuto assentare per una settimana”, continua il
missionario, “ nel frattempo la dispensa si é svuotata. Non c’è
tempo per andare a caccia di gazzelle o
di palapala per assicurare il pranzo. La preoccupazione delle suore addette
alla cucina diventa la mia preoccupazione: cosa dare per
sfamare una marea di gente? Io non ho
ancora imparato a moltiplicare né pane e neppure i pesci. Prego ugualmente il
Signore dei miracoli e come i discepoli presento la mia disponibilità. Si deve trovare qualcosa d’ immediato. Ricordo che non lontano da casa si rifugia
sugli alberi una famiglia di scimmie. Senza perdere tempo, prendo il fucile e
mi dirigo verso l’albero, prima che gli animali vadano altrove. Accoccolata sui rami c’é ancora ben visibile tutto il branco. Sparo
alcuni colpi. Due scimmie cadono per terra, alcune fuggono. La madre, un grosso
esemplare da far paura, scende dalla chioma dell’albero, si mette accanto ad
una delle sue creature senza vita e osserva la sua prole. Istintivamente mi viene da sparare anche a essa ma subito mi trattengo. La preda caduta è sufficiente per quel giorno
e sto a osservare cosa avrebbe fatto la madre.
Con il fucile in mano pronto allo sparo, immobile assisto ad una scena unica,
mai vista prima né dopo. Quella grossa mamma prende fra le braccia una delle
due scimmie morte e solennemente la solleva in alto. I suoi occhi lasciano
scorrere abbondanti lacrime. Con passo
lento si dirige verso la mia postazione
e, senza troppo avvicinarsi, la depose ai miei piedi.
Non é fuggita, non ha potuto
difendere la prole e ora consegna all’uomo crudele il suo terribile dolore. Presenta la sua sconfitta al
vincitore, sconfitto anche lui dall’istinto materno di una scimmia. Poi quella
mamma si allontana velocemente in direzione
delle altre scimmie sopravvissute. Io mi ritrovo solo con il mio fucile in
mano. Osservo la preda. Sono indeciso se portarla a casa o darle degna
sepoltura. Pur nello smarrimento raccolgo gli animali e li consegno ai ragazzi. Per tutto quel giorno non riesco a mangiare,
non parlo con nessuno per non infastidire qualcuno. I ragazzi, ignari di tutto,
mangiano in abbondanza. Quella scena materna è scolpita nella mia mente. Sembra
che le lacrime della madre scimmia bagnino il mio volto e, senza niente asciugare,
passo le mie mani sulle guancie e negli
occhi. Il dolore della madre é diventato il mio dolore. Mai più avrò il
coraggio di cacciare una scimmia.
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