giovedì 9 novembre 2017

Anche le scimmie piangono...

Anche le scimmie piangono
Nei racconti di un vecchio missionario ce ne sono   alcuni particolarmente significativi che meritano di essere ricordati. Padre Pio Santo Canova ricorda così gli inizi del suo ministero nella zona di Lurio.
“Nella zona di Lurio  vengo col gruppo missionario per  conoscere le terre al fine di  fondare una missione.  Al mio arrivo tutta la  vastissima zona é un’unica foresta interrotta da ampie savane abitate da molte specie di animali.  Vivono indisturbati, i palapala, le gazzelle e molti tipi di maiali selvatici. Non mancano  i  leoni,  gli elefanti, le scimmie, i leopardi. Sono tutti animali che scendono nei piccoli  villaggi alla ricerca di cibo. Quando gli animali non hanno fame o non sono disturbati la gente convive con essi quasi serenamente. Noi missionari  siamo anche provetti cacciatori perciò   la carne non manca mai nella mensa della missione. Gli animali preferiti sono le gazzelle, i palapala e, in mancanza di questi si cacciano anche le scimmie, più numerose e più facili da rintracciare.  
Appena arrivati sul posto prescelto per impiantare la missione si costruisce una cappella, un centro sanitario, un centro di alfabetizzazione per ragazzi e ragazze,  le abitazioni del personale missionario e degli operatori. Per realizzare tutto questo occorre molto tempo. Non ovunque arriva il fuoristrada per cui il materiale si deve trasportare spesso a piedi e sulla testa per molti chilometri. In compenso    abbiamo a disposizione tutto il tempo necessario. Sembra che gli anni e i secoli ci appartengano.
Fiumane di persone si accalcano nel centro sanitario con ogni forma di malattie. Spesso sono persone con lo stomaco vuoto da molto tempo. Il centro di alfabetizzazione ospita in modo permanente  cinquanta ragazzi e  alcune ragazze, altri arrivano a piedi dai centri più vicini.  Dobbiamo sudare  parecchio per aprire la scuola poiché il saper leggere e scrivere non  offre  subito da mangiare e i familiari devono lavorare inutilmente, aspettando i benefici  della istruzione. Una particolare avversione si riscontra per le ragazze, nate per dare un’ abbondante discendenza alla tribù. Per far questo non occorre saper leggere e scrivere, inoltre nel periodo dello studio si perde tempo e si acquistano brutte abitudini. In realtà l’istruzione delle ragazze rallenta lo sviluppo della tribù. Nella situazione descritta il mio compito é quello di evangelizzare mente e anima, oltre ad assicurare il cibo quotidiano”. Mentre racconta, padre Canova sembra rivivere quei momenti., orgoglioso delle sue imprese.  “Una volta mi sono dovuto assentare per una settimana”, continua il missionario, “ nel frattempo la dispensa si é svuotata.     Non c’è  tempo per andare a caccia di gazzelle o di palapala per assicurare il pranzo. La preoccupazione delle suore addette alla cucina diventa la mia preoccupazione: cosa dare   per sfamare  una marea di gente? Io non ho ancora imparato a moltiplicare né pane e neppure i pesci. Prego ugualmente il Signore dei miracoli e come i discepoli presento la mia disponibilità.  Si deve trovare qualcosa d’ immediato.  Ricordo che non lontano da casa si rifugia sugli alberi una famiglia di scimmie. Senza perdere tempo, prendo il fucile e mi dirigo verso l’albero, prima che gli animali  vadano altrove. Accoccolata sui rami  c’é ancora ben visibile tutto il branco. Sparo alcuni colpi. Due scimmie cadono per terra, alcune fuggono. La madre, un grosso esemplare da far paura, scende dalla chioma dell’albero, si mette accanto ad una delle sue creature senza vita e osserva la sua prole. Istintivamente  mi viene da sparare anche a  essa ma subito mi trattengo.  La preda caduta è sufficiente per quel giorno e sto a osservare cosa avrebbe fatto la madre.  Con il fucile in mano pronto allo sparo, immobile assisto ad una scena unica, mai vista prima né dopo. Quella grossa mamma prende fra le braccia una delle due scimmie morte e solennemente la solleva in alto. I suoi occhi lasciano scorrere abbondanti lacrime.  Con passo lento si  dirige verso la mia postazione e, senza troppo avvicinarsi, la depose ai miei piedi.

Non é fuggita, non ha potuto difendere la prole e ora consegna all’uomo crudele il suo  terribile dolore. Presenta la sua sconfitta al vincitore, sconfitto anche lui dall’istinto materno di una scimmia. Poi quella mamma si allontana velocemente  in direzione delle altre scimmie sopravvissute. Io mi ritrovo solo con il mio fucile in mano.  Osservo la preda.  Sono indeciso se portarla a casa o darle degna sepoltura. Pur nello smarrimento raccolgo gli animali e li consegno ai ragazzi.  Per tutto quel giorno non riesco a mangiare, non parlo con nessuno per non infastidire qualcuno. I ragazzi, ignari di tutto, mangiano in abbondanza. Quella scena materna è scolpita nella mia mente. Sembra che le lacrime della madre scimmia   bagnino il mio volto e, senza niente asciugare, passo le  mie mani sulle guancie e negli occhi. Il dolore della madre é diventato il mio dolore. Mai più avrò il coraggio di cacciare una scimmia.



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